Meloni accorre, Schlein e Conte disertano la Sinagoga di Roma

Dal Corriere della Sera

Magari la segretaria del Pd Elly Schlein e il presidente del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte non saranno andati alla Sinagoga di Roma, nel primo anniversario del pogrom del 7 ottobre in Israele da cui è nata la guerra su più fronti in corso in Medio Oriente, non volendosi incontrare dopo la rottura consumatasi fra di loro sul cosiddetto campo largo della futuribile alternativa al governo di centrodestra, o destra-centro, di Giorgia Meloni. Ma la loro assenza, specie se paragonata alla presenza puntuale della premier e alcuni suoi ministri ha prodotto mediaticamente e politicamente l’effetto opposto. Che è quello di avere riesumato, appunto nella comune assenza, quel campo dalla definizione controversa -largo, giusto, stretto, lungo, minato, santo- ma dalla contraddittorietà più clamorosa e inquietante nella valutazione di un evento così osceno come la strage di ebrei un anno fa nel loro territorio, e delle reazioni di Israele liquidate con pari oscenità come genocidio.

La premier Meloni accolta nella Sinagoga a Roma

         Politici come la Schlein e Conte ,anche se non di lunga esperienza, entrambi peraltro aspiranti a Palazzo Chigi, la prima per conquistarlo e il secondo per tornarvi dopo esservi stato due  anni e mezzo cambiando due volte maggioranza e tentandone inutilmente una terza per resistere all’arrivo di Mario Draghi; politici, dicevo, come la Schlein e Conte dovrebbero essere o diventare un po’ più accorti anche nella gestione delle loro assenze, oltre che delle presenze.

         Altrimenti nel confronto, diretto o indiretto, che entrambi cercano con la Meloni per proporsi come alternative nella leadership governativa continueranno ad uscire perdenti, divisi o uniti che siano nelle alterne fasi del dibattito o -come lo chiamava la buonanima di Silvio Berlusconi, partecipandovi pure lui- del teatrino politico.

Dal Riformista

         C’è voluto dello stomaco, a dir poco, a disertare la Sinagoga di Roma in una giornata come quella di ieri. Mentre in Medio Oriente, peraltro, Israele ha continuato a ricevere attacchi da chi ne contesta il diritto all’esistenza, fisica e di Stato.

Ripreso da http://www.statmag.it

La Pontida orbanizzata contro il governo italiano a partecipazione leghista

Dal Dubbio

Viktor Orban, il premier ungherese ospite d’onore di Matteo Salvini più di tutti gli altri a Pontida, deve avere una concezione particolare dell’amicizia. Come quella, del resto, dello stesso Salviniquando ha difeso l’”amico”, appunto, Antonio Tajani offeso a voce e per iscritto dai giovani leghisti.  Che in fondo avevano preso sul serio quel “mangiare pesante”, e bere evidentemente troppo, rimproverato al collega e alleato di governo dallo stesso Salvini per avere espresso preoccupazioni dopo il successo elettorale conseguito in Austria da una destra orgogliosamente estremista, diciamo pure nazista.

         Fra le righe della promozione di Salvini ad “eroe” per il processo procuratosi, o procuratogli soprattutto dagli ex alleati grillini, ritardando da ministro dell’Interno cinque anni fa lo sbarco ci circa 150 migranti dalla nave Open arms, il premier ungherese ha voluto dare una lezione di rigore, intransigenza e altro al governo italiano. Del quale il leder leghista fa parte ora come vice presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture, compresi i porti.

         In Ungheria -si è vantato Orban- non entra un solo immigrato irregolare. In Italia, si sa, continuano ad entrarne, anche se più contenuti, come puntualizzano la premier Meloni e lo stesso Salvini. Ma l’Ungheria non ha i confini italiani. Li ha tutti terrestri, senza un solo metro, anzi centimetro marino, con tutte le complicazioni che derivano dalle acque. C’è da chiedersi se Orban, già impettito di suo ma ancora di più quando si mette a dare lezioni agli altri, sappia leggere le carte geografiche.

         Capisco i doveri di ospitalità e annessi e connessi. Ma il leader leghista dovrebbe guardarsi da certi ospiti, appunto. E anche -visto che ci sono- da certi militanti della sua Lega rimasti fermi ai tempi in cui il Sud era considerato la Terronia da affidare alle energie dell’Etna e di tutti gli altri vulcani sparsi sul suo territorio, insulare e peninsulare.

         Quella maglietta verde a Pontida inneggiante al Nord prima di tutto, ma ancor più all’Italia che “non è una e non lo sarà mai”, col suo tricolore che il giovane Umberto Bossi una volta invitò una signora di Venezia che lo sventolava dalla finestra a buttarlo “nel cesso”; quella maglietta verde a Pontida, dicevo, è stata un po’ come -fatte le debite proporzioni, naturalmente- la guerriglia a Roma sabato scorso nella manifestazione a favore dei palestinesi.

         La 36.ma edizione del festoso raduno leghista rischia di essere ricordato più per quella maglietta che per altro, compresa la presenza “nera” -secondo il titolo di Repubblica- degli ospiti esibiti dal vice presidente del Consiglio. Una maglietta che -vedrete- sarà adoperata contro la Lega e il governo dai promotori del referendum contro le autonomie differenziate pur messe dalla sinistra nella Costituzione 23 anni fa con la riforma del titolo quinto, riguardante le Regioni, le Province e i Comuni.

Pubblicato sul Dubbio

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