Un pò troppe ansie, forse, nella maggioranza e nel governo di centrodestra

il presidente del Senato Ignazio La Russa

         Ore d’ansia, mentre scrivo, nel centrodestra a livello politico e persino istituzionale, dal quale comincio ricordando la decisione, o intenzione, del presidente Ignazio La Russa, fregando tutti sul terreno dei famosi diritti civili, ad aprire le porte del Senato anche agli animali. Che si spera adesso si dimostrino degni della fiducia contenendosi, per esempio, nei bisogni percorrendo i corridoi o stazionando negli uffici dei loro garanti.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi

         Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è invece col fiato sospeso ad attendere sviluppi ed esito finale della manifestazione romana a favore dei palestinesi, e di chi li usa come scudi umani per nascondere sotto le loro case, scuole, ospedali, mercati e quant’altro arsenali militari con cui attaccare Israele. Una manifestazione proibita sul piano ufficiale, con tutte le discussioni che ne sono derivate, e di fatto alla fine consentita scommettendo sulla misura dei dimostranti e sull’efficienza tecnica e nervosa delle forze dell’ordine.

Dalla prima pagina di Repubblica

         Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, reduce da un tentativo di infilare nella manovra finanziaria in arrivo per fare quadrare i conti qualche aumento della già alta pressione fiscale, si chiede – leggendo, per esempio, il titolo di Repubblica sul fatto di essere “rimasto solo”- se ad abbandonarlo con il no sia stato più l’alleato di governa forzista Antonio Tajani o il collega e insieme superiore di partito Matteo Salvini.

Salvini e Tajani insieme

         E’ infatti accaduto che i due -Tajani e Salvini- di solito distinti e distanti, come diceva la buonanima di Francesco Cossiga delle componenti di certe maggioranze che aveva gestito dal Quirinale e poi contributo a nascere e a disfarsi da presidente soltanto emerito della Repubblica, si siano improvvisamente trovati d’accordo nel contestare le tentazioni di Giorgetti. Che ora cerca, poverino, di cavarsela per il rotto della cuffia di qualche accorgimento verbale.

         Sembra, in particolare, che per far digerire meglio a banche ed altre imprese una tassazione dei loro extraprofitti il ministro dell’Economia abbia pensato di definirli “giusti”, per carità. Si vedrà se questa …concessione basterà a migliorare le reazioni degli interessati e di chi nella maggioranza intende proteggerli.

Dalla prima pagina del Foglio

         La posizione di Giorgetti nel rapporto, che è stato sempre un po’ difficile, col suo collega di partito, amico e -ripeto- superiore è aggravata dal sospetto che va forse aumentando nel leader leghista che Meloni, sotto sotto ma anche sopra sopra, voglia “condannare il salvinismo all’irrilevanza”, come ha titolato con perfidia politica, e non solo giornalistica, Il Foglio in prima pagina. Irrilevanza sia sul terreno della politica estera, dove Salvini ama muoversi con la maggiora disinvoltura, come dimostrerà domani anche nel raduno tradizionale di partito a Pontida con i suoi ospiti stranieri estremisti, sia sul terreno della politica fiscale, quanto meno, se non interna in senso più generale.  

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Meloni “tradisce” Conte preferendogli la Schlein nell’opposizione

Dal Dubbio

I retroscena politici, spesso non si sa se più alimentati o alimentatori dei colpi bassi delle polemiche, ci propongono ogni tanto Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, direttamente o tramite i loro emissari, a passarsi la palla. A fare l’una la stampella dell’altro, o viceversa, come ha detto Matteo Renzi, per esempio, di recente cercando di spiegarsi e di spiegare la partecipazione delle 5 Stelle al rinnovo del Consiglio d’amministrazione della Rai, disertato invece dall’aventiniano Pd di Elly Schlein e dintorni.

Matteo Renzi

         Chissà che avrà pensato, e non ha ancora detto Renzi sino al momento in cui scrivo, del vuoto improvvisamente creatosi al vertice del Tg 3 con la nomina improvvisa di Mario Orfeo s direttore di Repubblica. Già si è letto e scritto, d’altronde, di una candidatura pentastellata alla successione, magari scambiabile col ripensamento di Conte sulla presidenza della Rai a Simona Agnes, la figlia del compianto Biagio sostenuta in particolare da Forza Italia con la consulenza, la diplomazia e quant’altro di Gianni Letta, fiduciario della famiglia Berlusconi.

         Ma davanti alle quinte lo spettacolo di Meloni e Conte, e loro annessi e connessi, è opposto a quello immaginato o raccontato, ripeto, dai retroscenisti. E’ appena accaduto, per esempio, che la premier, giustamente consapevole della opportunità, necessità e simili di una linea politica di coesione o solidarietà nazionale -come si diceva una volta- davanti ad emergenze come quelle costituite dalle guerre in corso, si sia consultata per telefono con Elly Schlein, e non con altri esponenti dell’opposizione volenterosamente chiamata al singolare.

         Di Conte la premier non è proprio passato per la testa di cercare o farsi cercare il numero di cellulare fino al momento -anche qui- in cui scrivo. E non è -credo-per vendetta sul filo del telefono a quanto della premier e della sua politica estera egli dice in ogni occasione, in Parlamento e fuori, fra i microfoni che lo seguono per le strade che percorre nei dintorni di Montecitorio o nei convegni lontanissimi ai quali è invitato. Una politica estera, secondo Conte, sostanzialmente guerrafondaia, subalterna agli Stati Uniti non più guidati dall’illuminato Donald Trump.

Stare a questo punto a inseguire il consenso del suo pur non diretto predecessore a Palazzo Chigi dev’essere comprensibilmente apparso alla Meloni tempo sprecato. O fornirgli solo l’occasione per vantarsi in qualche dichiarazione o intervista di avere contestato a dovere le scelte del governo, senza neppure fare le distinzioni che forse Matteo Salvini si aspetterebbe dal suo ex alleato, nella loro prima e comune esperienza, rispettivamente, di presidente del Consiglio e vice. Una distinzione che il leader leghista probabilmente cercherà di meritarsi domani a Pontida, visti gli invitati stranieri di estrema destra al raduno del suo partito.  

L’autocaricatura di Beppe Grillo

Conte, del resto, non è tipo da fare sconti nelle sue partite, come sta sperimentando sulla sua pelle, e sulla barba cresciutagli a dismisura, il fondatore e garante del MoVimento 5 Stelle Beppe Grillo. Che rischia, nella polemica e nelle diffide ingaggiate con l’avvocato e professore sulla strada della Costituente, o ricostituente, delle 5 Stelle, o come altro dovessero essere chiamate, anche la sua consulenza ben remunerata nel campo della comunicazione. I cui risultati d’altronde Conte potrebbe rinfacciargli, piuttosto che riconoscere i propri errori e limiti ed assumersi la responsabilità addebitatagli da Grillo di avere raccolto nelle elezioni europee di giugno meno voti di Berlusconi da morto col partito forzista di cui è segretario Antonio Tajani. 

Sono d’altronde le nuove, ridotte dimensioni del movimento che presiede, più che gli atteggiamenti contestati alla Schlein, specie da quando ha aperto il cosiddetto campo largo a Renzi, a fare apparire Conte un “cespuglio”, come lui stesso ha lamentato, piuttosto che un ancora candidato a Palazzo Chigi se e quando dovesse realizzarsi un’alternativa al centrodestra guidato dalla Meloni.

Di cespugli vigorosi, a dire la verità, si trovano tracce nella storia della cosiddetta prima Repubblica, per esempio con l’arrivo di Giovanni Spadolini e del suo piccolo partito dell’edera alla guida del governo con una Dc dieci volte più forte. Ma era, appunto, la prima Repubblica: preistoria per Conte.

Pubblicato sul Dubbio

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