Dietro gli avvicendamenti a sorpresa ai vertici della Repubblica di carta

         Le notizie a sorpresa sugli avvicendamenti ai vertici della Gedi, editrice, e della Repubblica, quella di carta, stanno naturalmente insieme ma non hanno lo stesso valore.

Mario Orfei

Più dell’arrivo di Mario Orfeo alla direzione del quotidiano fondato dal compianto Eugenio Scalfari, che è poi un ritorno con promozione, avendo lo stesso Orfeo già lavorato in quel giornale in posizioni centrali, conta forse -anche per il destino della testata- la rinuncia di John Elkann alla presidenza della società editrice, per quanto sostituito da una persona di fiducia, per carità.

Gianni Agnelli

         Il nipote del compianto avvocato Gianni Agnelli, per quanto alle prese con una vicenda giudiziaria e familiare di un certo imbarazzo, quanto meno, derivata da vertenze ereditarie, è forse più ricco di quando arrivò dove lo aveva designato il nonno. Del quale però non ha la forza politica, e neppure il fascino quasi regale. Che a lungo nella Repubblica vera, non quella di carta, fece apparire casa Agnelli come il dopo casa Savoia.

Un’edicola chiusa

         Più delle automobili, che non se la passano bene neppure oltre i confini italiani, sembrano piacere al nipote dell’avvocato i soldi. E a far crescere quest’ultimi, almeno in Italia, i giornali non servono più come una volta, né direttamente, per quel che si guadagna fra edicole, derivati e pubblicità, né indirettamente per gli affari che possono essere facilitati dall’indirizzo politico del giornale di proprietà. La cessione della Repubblica, sempre quella di carta, potrebbe essere gestita meglio senza John Elkann alla presidenza della società editrice, si è già scritto o insinuato.

         Questa realtà dovrebbe essere o quanto meno apparire consolante per il giornalismo inteso come professione, potendone favorire l’autonomia, l’autorevolezza. Ma non è detto che questo effetto maturi davvero perché noi giornalisti -diciamolo francamente- difendiamo la nostra autonomia senza la forza, per quanto spesso degenerata e degenerativa, con la quale difendono la loro i magistrati.

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L’avanzata di Bucci in Liguria grazie agli errori dei suoi avversari

Dal Corriere della Sera

         Il 31 ottobre, quattro giorni dopo le elezioni anticipate in Liguria provocate dalla rimozione praticamente giudiziaria dell’ex governatore di centrodestra Giovanni Toti, dimessosi per uscire dagli arresti domiciliari disposti sotto l’accusa di corruzione ed altro, Marco Bucci festeggerà i suoi 65 anni. Non si sa se in veste ancora e solo di sindaco di Genova al suo secondo mandato o di nuovo presidente della regione per il centrodestra.

         Partito in svantaggio nella sua campagna elettorale per la sorpresa del patteggiamento preferito da Toti al processo dopo una resistenza all’accusa che sembrava irremovibile, e per le dimensioni ancora ”larghe” del campo allestito attorno alla candidatura alternativa dell’ex ministro del Pd Andrea Orlando, il sindaco di Genova sta recuperando parecchio grazie agli errori, incidenti e quant’altro dei suoi avversari.

Giuseppe Conte

         Prima Bucci è stato soccorso personalmente da Giuseppe Conte espellendo dal campo di gioco della sinistra Matteo Renzi e restituendone parti almeno dell’elettorato ad una reazione quasi istintiva a favore di Bucci, appunto. Col quale i renziani avevano collaborato al Comune, prima di uscirne per seguire il loro leader nel campo opposto. Per quanto pochi possano essere nel frattempo diventati i voti di Renzi in Liguria, essi potrebbero risultare decisivi nella partita.

Nicola Morra

         Poi è intervenuto a favore di Bucci un concorrente diretto, per quanto minore:  l’ex grillino Nicola Morra con dichiarazioni al Foglio sul voto inutile, secondo lui, a Bucci perché destinato a morire presto per il suo “tumore metastatico”, come accadde nel 2020 alla presidente eletta, sempre per il centrodestra, alla regione Calabria Jole Santelli.

Dal Foglio

         Persino Orlando, l’avversario ancora più diretto di Bucci nella corsa alla presidenza della Liguria, ha dovuto criticare Morra, che ha penosamente cercato di difendersi sentendosi tirato “in un tranello” dal Foglio per l’uso fatto delle sue parole nella titolazione dell’articolo. Parole, ripeto, che si sono ritorte, nelle polemiche che ne sono seguite, contro di lui e a favore di Bucci. Il quale ne ha comprensibilmente profittato lasciandosi intervistare pure lui dal Foglio per assicurare naturalmente di sentirsi bene e ben curato, guadagnarsi la simpatia e la prevedibile solidarietà umana, quanto meno, di qualcuno forse ancora indeciso se votare e procurarsi infine un titolo che da solo sarà apparso allo sprovveduto Morra un altro tranello: “Curare la politica malata” degli avversari di Bucci.

Sandro Pertini

         La vicenda mi ricorda un po’ il clamoroso infortunio del capogruppo democristiano della Camera Flaminio Piccoli nelle elezioni presidenziali del 1978, quando si arrese alla candidatura del socialista Sandro Pertini prevedendone la morte durante il mandato per i suoi 82 anni quasi compiuti. Che non impedirono invece a Pertini di tentare, dietro le quinte, la rielezione dopo sette anni felicemente trascorsi al Quirinale, guadagnandosi una popolarità ancora  imbattuta.

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