Le notizie a sorpresa sugli avvicendamenti ai vertici della Gedi, editrice, e della Repubblica, quella di carta, stanno naturalmente insieme ma non hanno lo stesso valore.

Più dell’arrivo di Mario Orfeo alla direzione del quotidiano fondato dal compianto Eugenio Scalfari, che è poi un ritorno con promozione, avendo lo stesso Orfeo già lavorato in quel giornale in posizioni centrali, conta forse -anche per il destino della testata- la rinuncia di John Elkann alla presidenza della società editrice, per quanto sostituito da una persona di fiducia, per carità.

Il nipote del compianto avvocato Gianni Agnelli, per quanto alle prese con una vicenda giudiziaria e familiare di un certo imbarazzo, quanto meno, derivata da vertenze ereditarie, è forse più ricco di quando arrivò dove lo aveva designato il nonno. Del quale però non ha la forza politica, e neppure il fascino quasi regale. Che a lungo nella Repubblica vera, non quella di carta, fece apparire casa Agnelli come il dopo casa Savoia.

Più delle automobili, che non se la passano bene neppure oltre i confini italiani, sembrano piacere al nipote dell’avvocato i soldi. E a far crescere quest’ultimi, almeno in Italia, i giornali non servono più come una volta, né direttamente, per quel che si guadagna fra edicole, derivati e pubblicità, né indirettamente per gli affari che possono essere facilitati dall’indirizzo politico del giornale di proprietà. La cessione della Repubblica, sempre quella di carta, potrebbe essere gestita meglio senza John Elkann alla presidenza della società editrice, si è già scritto o insinuato.
Questa realtà dovrebbe essere o quanto meno apparire consolante per il giornalismo inteso come professione, potendone favorire l’autonomia, l’autorevolezza. Ma non è detto che questo effetto maturi davvero perché noi giornalisti -diciamolo francamente- difendiamo la nostra autonomia senza la forza, per quanto spesso degenerata e degenerativa, con la quale difendono la loro i magistrati.
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