Il chiodo che ha guastato a Matteo Salvini la vigilia della festa a Pontida

Matteo Salvini

         Già alle prese con i noti guai giudiziari a Palermo, dove sono stati chiesti per lui sei anni di carcere per sequestro di persone e altro dopo avere ritardato cinque anni fa come ministro dell’Interno lo sbarco di circa 150 migranti, Matteo Salvini è appena finito nei guai mediatici per gli affari ferroviari di sua competenza come ministro dei trasporti, o delle Infrastrutture come si dice da quando sono stati unificati i dicasteri, appunto, dei trasporti, dei lavori pubblici e della marina mercantile.

Dalla Stampa

         Un chiodo che i tecnici hanno scoperto piantato per errore su un cavo da un operaio di una società privata che esegue lavori per le ferrovie dello Stato ha paralizzato mezza Italia, trasformato le stazioni in bivacchi ed esposto il leader leghista ad attacchi, dileggi e altro fra Camere e giornali. Dove Mattia Feltri, per esempio, gli ha dato del “giocatore di biglie” scrivendone sulla Stampa.

Dal Corriere della Sera

         Massimo Gramellini sul Corriere della Sera gli ha ironicamente riconosciuto il merito, per quanto involontario, di avere fatto giadagnare al governo della Meloni la qualifica di “antifascista” per i ritardi dei treni di oggi contrapposti alla puntualità vera o presunta, degli anni di Mussolini. Una puntualità sulla quale scherzava la buonanima di Giulio Andreotti dando del “Napoleone” a chiunque, nei suoi governi o negli altri della Repubblica, si proponesse d far viaggiare i treni in orario in Italia come nella leggendaria Svizzera.  

         I ministri dei trasporti di una volta, come quelli dei Lavori Pubblici, erano particolarmente a rischio. I primi per i ritardi, appunto, dei treni o per le sciagure che puntualmente si vedevano attribuire, come se fossero stati loro alla guida dei convogli deragliati o rottamati negli scontri fra morti e feriti.  Gli altri, quelli dei lavori pubblici, finirono a rischio di indagini, processi e carcere per l’abitudine che avevano i partiti, o i loro derivati o referenti, di ogni colore, di finanziarsi con o nei cantieri. 

         Un mio amico che arrivò a guidare il Ministero di Porta Pia negli ultimi anni della cosiddetta prima Repubblica percorse le scalinate dell’edificio facendo gli scongiuri alla vista di ogni foto o busto dei suoi predecessori. E non fu per niente grato all’amico segretario di partito che ve lo aveva mandato senza preavviso, o quasi.

         Al Ministero dei Trasporti, a poca distanza, nacque una volta con l’arrivo di un giovane socialista molto attivo una corrente politica chiamata “sinistra ferroviaria”. Che faceva la sua brava concorrenza alle altre di via del Corso, dove c’era la sede del Psi.

Dal Giornale

         Erano tuttavia altri tempi.  Adesso è arrivata l’ora dei chiodi. O del chiodo, visto che ne è bastato uno per guastar, fra l’altro,e a Salvini la preparazione della tradizionale festa della Lega sui prati di Pontida. Dove comunque si arriva in pullman più che in treno.

Ripreso da http://www.startmag.it

Il secondo strappo di Enrico Letta dal Nazareno: Madrid dopo Parigi di 10 anni fa

Da Libero

Anche a Madrid, dove ha deciso di fare dal mese prossimo l’insegnante universitario, come dieci anni fa a Parigi, rinunciando al mandato parlamentare in Italia Enrico Letta chiederà probabilmente di non essere considerato “esule”. Ma in entrambe le circostanze egli ha dato l’impressione, a torto o a ragione, di aver voluto fuggire da qualcosa, o da qualcuno, o insieme dall’una e dall’altro.

Il commiato di Enrico Letta da Matteo Renzi nel 2014

         Nel 2014 Letta jr, per non confonderlo con lo zio Gianni, anziano e ancora attivo come consigliere, ambasciatore, fiduciario dei figli di Silvio Berlusconi, come era stato col padre, andò a smaltire a Parigi la delusione, a dir poco, procuratagli da Matteo Renzi. Che come nuovo segretario del Pd gli aveva detto sotto Natale del 2013 di “stare sereno” a Palazzo Chigi, dove era approdato il 28 aprile di quello stesso anno, ma nel giro di qualche settimana gli procurò un clamoroso sfratto sostituendolo di persona.  E cumulando baldanzosamente le massime cariche di partito e di governo. Cosa che non aveva portato fortuna nella cosiddetta prima Repubblica a esponenti democristiani pur di un certo temperamento come Amintore Fanfani e Ciriaco De Mita. E non portò fortuna neppure a lui, che pur nel giro di quasi tre anni dovette rinunciare ad una delle due, quella di governo. Per perdere rapidamente anche l’altra.

Lo scambio delle consegne fra Letta e Renzi a Palazzo Chigi

         Enrico Letta ci rimase naturalmente male quando fu allontanato da Palazzo Chigi con un voto quasi unanime della direzione del Pd.  E non fece nulla per nasconderlo. Anzi, ostentò la sua rabbia -chiamiamola pure col suo nome- in una cerimonia di frettoloso, infastidito passaggio della campanella d’argento del Consiglio dei Ministri al suo sgradito successore. Del quale poi si scoprì, grazie ad una intercettazione telefonica sfuggita al segreto istruttorio, che aveva parlato con un generale della Guardia di Finanza come di una persona non adatta alla guida di un governo. Pur adatto invece-pensate un po’- al lavoro di presidente della Repubblica, non disponibile però perché appena riassegnato a Giorgio Napolitano.

         Voi capite, amici miei, quali e quanto buone ragioni poteva avere avuto Enrico Letta per andarsene da Montecitorio e dall’Italia dieci anni fa.   E tornare a Roma in modo stabile solo quando andarono a supplicarlo a Parigi per assumere la segreteria del Pd improvvisamente lasciata da Nicola Zingaretti, troppo assediato dalle correnti.

         Quale buona ragione abbia potuto avere anche questa volta Enrico Letta per cercarsi e trovare un lavoro all’estero più gratificante di quello a Montecitorio, pur rimanendo in Europa, la sua Europa, non è difficile immaginare.

Lo scambio delle consegne fra Enrico Letta ed Elly Schlein l’anno scorso al Nazareno

         Il Pd da lui lasciato ad Elly Schlein l’anno scorso fra baci, abbracci, incoraggiamenti e quant’altro, dopo un congresso risolto in un modo dagli iscritti e in un altro dai non iscritti partecipanti alle primarie, ha preso una strada non diversa ma opposta a quella percorsa da Enrico Letta. Che non perdonò, per esempio, a Giuseppe Conte di avere fatto cadere, peraltro pochi mesi prima della conclusione ordinaria della legislatura, il governo di Mario Draghi, nella cui “agenda” al Nazareno si riconoscevano un po’ tutti, persino Goffredo Bettini. Che è ancora fra i consiglieri e gli amici del presidente pentastellato, da lui promosso al “punto di riferimento più alto dei progressisti” in Italia. Ora invece il Pd di Elly Schelin insegue Conte sulla strada pur fantomatica di un “campo largo” dell’alternativa al centrodestra che il presidente delle 5 Stelle ha appena liquidato come una invenzione giornalistica. E dal quale si è tirato indietro, non solo nella Liguria dove si voterà a fine mese, ma anche nell’Emilia-Romagna e nell’Umbria dove si voterà il mese prossimo.

Giuseppe Conte

La Schlein, sbiancata secondo una cronaca di Repubblica, spera forse di rianimare un morto. Ma, per quanto credente e praticante, credo, più della segretaria del Pd, Enrico Letta dubita, quanto meno, dei miracoli in politica. E preferisce andare a pregare, oltre che a lavorare, a Madrid. Buon viaggio, presidente.

Pubblicato da Libero

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