Salvini allunga la lista degli incidenti con Tajani nel silenzio della Meloni

         Che ad Antonio Tajani, 71 anni compiuti il 4 agosto scorso, piaccia la tavola, forse ancor più del tavolo, e abbia problemi a salire sulla bilancia, se ancora vi sale, per vedere il peso al quale è arrivato, non     c’è dubbio. Che sotto questo profilo abbia bisogno di contenersi, per ripetere un’espressione cara allo scopritore del suo talento politico, oltre che giornalistico, che fu Silvio Berlusconi, prelevandolo dalla redazione romana del Giornale per portarselo a Palazzo Chigi come portavoce, e mandarlo poi al Parlamento europeo per farsi le ossa a livello persino internazionale, è altrettanto sicuro. Mi impressiona, da amico, ogni volta che lo vedo in televisione con quel fisico e quell’andatura da nomenclatura sovietica dei tempi in cui i gerarchi del Cremlino salivano sul palco della Piazza Rossa per le sfilate militari rischiando di farlo crollare.

Dal Giorno, Resto del Carlino e Nazione

         Ma tutto questo non autorizza Matteo Salvini, che pure gli è quanto meno alleato, se non più amico, condividendo con lui il ruolo di vice presidente del Consiglio e di importante ministro, a dargli praticamente dell’ubriaco. Come ha fatto ieri rimproverandogli a mezzo stampa di avere “mangiato pesante”, e quindi anche bevuto, per avere espresso preoccupazioni sulla crescita elettorale dell’estrema destra anche in Austria. Di cui invece il leader leghista è felicissimo, per quanto i suoi amici a Vienna, diversamente da lui in Italia, non riusciranno probabilmente ad andare al governo per il cosiddetto cordone fra il sanitario e il politico al quale sembra stia lavorando per primo il presidente di quella Repubblica. Che numeri in Parlamento su cui scommettere, sia pure con calma.

Dalla Stampa

         Anche la stampa d’opposizione è abituata ormai alle sortite di Salvini: almeno a quelle sul fronte dei rapporti internazionali, protestando rumorosamente solo sul versante giudiziario, dove il vice presidente del Consiglio si muove da imputato di sequestro di persona ed altro per avere ritardato cinque anni fa lo sbarco di quasi 150 migranti abusivi sulle coste italiane da una nave con bandiera spagnola che li aveva soccorsi,

Da Repubblica

         La sortita di Salvini contro Tajani in difesa dell’estrema destra austriaca, alla vigilia peraltro del raduno leghista a Pontida, è finita solo su qualche prima pagina con titoli a una colonna, come si dice in gergo tecnico. Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio l’ha addirittura ignorata, anche nella “cattiveria” di giornata. La Repubblica di carta non è andata oltre un richiamo sulla penultima, credo, “rissa” per quanto verbale del leader del Carroccio con i suoi stessi alleati.

         La premier, almeno sino al momento in cui scrivo, forse per non guastarsi e non gustare le feste per i suoi due primi anni di guida del governo, ha fatto finta di non sentire e di non leggere. Ma difficilmente può fingere di non capire, credo.

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La guerra di Conte alla Schlein dietro gli attacchi e i veti a Renzi

Da Libero

Alla luce di quanto è accaduto in Liguria, dove Giuseppe Conte è riuscito ad estromettere dalla campagna elettorale del cosiddetto campo largo dell’alternativa Matteo Renzi, per quanto questi avesse accettato di parteciparvi senza insegne ma solo con qualche candidato al nuovo Consiglio regionale, si può ragionevolmente sostenere che il presidente delle 5 Stelle, o di ciò che ne rimarrà dopo la rottura in corso col fondatore, garante, consulente Beppe Grillo,  più che da Renzi sia ossessionato dalla segretaria del Pd Elly Schlein. Alla cui elezione, come ha giustamente ricordato di recente la sondaggista Alessandra Ghisleri in una intervista, i pentastellati pur contribuirono in modo forse decisivo più di due anni fa partecipando alle primarie. E neppure da imbucati, perché esse erano aperte anche ai non iscritti per una norma dello statuto che aveva motivato a suo tempo il rifiuto del vecchio, saggio Emanuele Macaluso di aderire all’ultima “cosa” prodotta dalla trasformazione del suo Pci.

         Grazie a quelli che allora si potevano ancora considerare grillini e contiani nello stesso tempo, senza imbarazzi e contorsioni, la Schlein prevalse nella corsa al Nazareno su Stefano Bonaccini, già scelto dagli iscritti e costretto a ripiegare prima sulla presidenza del partito e poi sull’ancora più lontano Parlamento europeo.

         Viene da chiedersi adesso se Conte avesse personalmente voluto e condiviso davvero quel soccorso del suo “popolo” alla Schlein, pur apprezzata pubblicamente per il solo fatto di essere subentrata ad Enrico Letta. Col quale si era consumata attorno alle spoglie politiche del governo di Mario Draghi la rottura dei rapporti fra il Pd e il MoVimento 5 Stelle innaffiati per un paio d’anni da Goffredo Bettini: l’uomo abituato a sussurrare ai dirigenti della sinistra come ai cavalli e quasi convertitosi all’idea di Marco Travaglio che Conte fosse diventato nella storia d’Italia il migliore presidente del Consiglio dopo Camillo Benso conte di Cavour. Migliore di De Gasperi e persino di Massimo D’Alema, che è stato l’unico comunista, o post-comunista, approdato alla guida di un governo italiano con l’aiuto improvvisato, nel 1998, dell’imprevedibile, imprevedibilissimo Francesco Cossiga.

Matteo Renzi ed Elly Schlein…in partita

         Per sua fortuna, pari però alla sfortuna o alla delusione, o alla preoccupazione di Conte, la Schlein da segretaria del Pd è riuscita generalmente, salvo qualche battuta d’arresto o d’inversione, ad aumentare le distanze elettorali dalle 5 Stelle, cioè il vantaggio. E a prenotare la leadership di una pur improbabile alternativa al centrodestra a trazione meloniana, prima ancora che Matteo Renzi a sorpresa cominciasse a passarle la palla in una partita di calcio, ad abbracciarla davanti ai fotografi e a sostenerne, auspicarne e quant’altro la corsa a Palazzo Chigi.

Renzi e Conte insieme…in fotomontaggio

         Questa somma di circostanze elettorali e di palazzo -diciamo così per uscire dal campo da gioco di quella partita di beneficienza all’Aquila fra parlamentari e cantanti- hanno fatto perdere letteralmente la bussola a Conte. Che nell’offensiva ligure contro Renzi ha abbassato la guardia, si è disinibito e, di fatto prendendosela direttamente con la Schlein a Roma, ha avvertito, ammesso e quant’altro la paura di finire -ha detto- fra i “cespugli” del campo dell’alternativa. Che dev’essere per lui notoriamente più “giusto” che largo. E giusto significa che Conte debba trovarsi meglio di tutti gli altri e dire l’ultima, non la penultima parola.

         Messa la situazione in questi termini, che non mi sembrano francamente cervellotici, si supera anche la disputa ormai oziosa sugli aggettivi – largo,, larghissimo, stretto, strettissimo, minato, santo-  del campo dell’alternativa, sul quale Romano Prodi vorrebbe già vedere muoversi “il trattore” di un programma. L’immagine più appropriata mi sembra piuttosto quella di un palazzo con le solite liti condominiali. Ma soprattutto con crepe sempre più numerose e vistose, che ne evidenziano la instabilità. Un palazzo costruito su un terreno sismico senza rispettare le regole e le precauzioni del caso.

Più che resistere, questo edificio mi sembra destinato a crollare addosso a chi imprudentemente vi è già andato ad abitare. E non vi nasconde sotto, per carità, nessun arsenale come nei palazzi di Beirut e di Gaza. E’ un palazzo semplicemente a rischio di crollo naturale, non di abbattimento.

Pubblicato su Libero

Il clamoroso soccorso di Conte al centrodestra di Bucci in Liguria

Dal Dubbio

Marco Bucci, il sindaco di Genova che guida il centrodestra nelle elezioni regionali anticipate seguite alla caduta di Giovanni Toti dopo una lunga detenzione domiciliare, deve avere tirato un sospiro di sollievo per il no di Giuseppe Conte, subìto dal Pd, alla partecipazione dei renziani al campo largo del cosiddetto centrosinistra. Ora oggettivamente meno largo, anche se Matteo Renzi si è limitato a dichiararsi “fuori dalla campagna elettorale”, sapendo che non per questo potrà materialmente, politicamente giuridicamente tenere fuori dai seggi elettorali di fine mese gli elettori, pochi o molti che siano, della sua Italia Viva. Che nelle elezioni politiche di due anni fa prese, insieme con Azione di Carlo Calenda nel cosiddetto terzo polo, quasi il 7 e mezzo per cento dei voti.

Andrea Orlando

         Per quanto pochi, i voti renziani per ritorsione contro il trattamento ricevuto insieme da Conte e dal Pd, e dal candidato alla presidenza della regione ligure Andrea Orlando, potrebbero risultare decisivi a favore di Bucci. Che lo sa benissimo e si è subito attivato per attirarli, neppure dietro le quinte, sapendo che aveva già potuto contarvi nella seconda elezione a sindaco, nel 2022, quando già Renzi si era messo in proprio uscendo nel 2019 dal Pd.  

Marco Bucci e Giovanni Toti

         Il corteggiamento ora ancora più possibile dei voti dei renziani frustrati dal trattamento ricevuto dalla sinistra, dove già molti di loro forse si erano trovati a disagio nei pochi mesi trascorsi dalla decisione del loro leader di affacciarsi, diciamo così, al campo largo dell’alternativa, serve a Bucci anche per fronteggiare i danni in qualche modo procuratigli sul versante del centrodestra da Giovanni Toti patteggiando con la Procura di Genova per “corruzione impropria” due anni e un mese di lavori socialmente utili, altrettanti di interdizione dai pubblici uffici e la confisca di 84 mila euro e rotti di finanziamento elettorale ricevuto da privati. Cui se ne potrebbero aggiungere altri per accertamenti eseguiti dagli inquirenti dopo gli accordi con l’accusa da sottoporre all’esame del giudice.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio

         Una mano a Bucci, dichiaratamente sorpreso -non credo con soddisfazione- dalla decisione di Toti di patteggiare, piuttosto che lasciarsi processare secondo le iniziali reazioni al suo arresto, ha appena cercato di dargliela il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Che in un’intervista al Giornale, dedicata anche ad altri temi, si è chiesto proprio a proposito di Toti e della sua rinuncia al processo, “perché i magistrati abbiano accettato un patteggiamento su un reato minore, dopo anni di intercettazioni- complesse e temo assai costose- che ritengo siano state chieste e autorizzate per reati ben più gravi”. Una domanda, quella di Nordio, doppia di valore per il suo ruolo attuale di ministro della Giustizia e passato di magistrato d’accusa.

         Per quanto ora edulcorato, ripeto, da un intervento così autorevole come quello di Nordio, il patteggiamento di Toti è pesato e pesa sulla campagna elettorale di Bucci, non foss’altro per gli spunti polemici offerti all’antagonista del sindaco di Genova, Orlando, già ministro della Giustizia pure lui. Spunti polemici dai quali Bucci era stato in qualche modo protetto, al momento della candidatura, dal segretario di Forza Italia Antonio Tajani. Che aveva parlato in una intervista in redazione al Secolo XIX ligure di un’”era Toti” ormai alle spalle. Tanto alle spalle da fare ritenere forse improbabile, anche dopo l’esaurimento dell’interdizione dai pubblici uffici patteggiata con l’accusa, un ritorno alla politica dell’ex governatore. Che non a caso è già tornato alla sua professione giornalistica come assiduo editorialista, almeno per ora, del Giornale delle famiglie Angelucci e Berlusconi, in ordine sia alfabetico sia di partecipazione alla proprietà del quotidiano fondato 50 anni fa da Indro Montanelli.

Pubblicato sul Dubbio

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