Le amarezze… di carta della Meloni leggendo il Corriere della Sera e il Foglio

Dal Corriere della Sera

         Fra la vignetta di giornata che la pettina alla maniera di Donald Trump, pur lasciandole per fortuna l’orecchio libero dalla benda dell’ex presidente americano scampato alla morte nella corsa alla Casa Bianca, e un commento di Antonio Polito alle “spine della premier” e alle “sorti del governo” che “non sembrano più così magnifiche” come prima delle elezioni europee del mese scorso, il Corriere della Sera non dev’essere oggi molto piaciuto a Giorgia Meloni. Che pure qualche giorno gli aveva affidato un’intervista rassicurante, a dir poco, pur dopo aver fatto contrare i suoi contro Ursula von der Leyen al Parlamento europeo.

Dal Giornale

         L’aria che tira ormai nella maggioranza e nello stesso governo, con i due vice presidenti del Consiglio che se le dicono e se le danno metaforicamente di tutti i colori, ha spinto persino il direttore del sempre per ben disposto Giornale che fu di Indro Montanelli a pubblicare un editoriale del direttore Alessandro Sallusti da questo titolo tanto interrogativo quanto preoccupato: “Tutto uguale, perché litigare?”. Manca solo il riferimento alla favola dello scorpione che punge la rana e affoga con lei nel fiume che sta attraversando perché questa “è la sua natura”. Lo scorpione in questo caso è naturalmente più l’agguerrito Salvini che il sedentario Tajani, per quanto in ansia pure lui per le prestazioni che si aspettano da lui alla testa di Forza Italia i figli dello scomparso fondatore Silvio Berlusconi. Le cui ceneri si staranno rivoltando anche verso la Meloni per le simpatie o debolezze putiniane viste e denunciate non solo dal vignettista del Corriere della Sera.

Claudio Cerasa sul Foglio

         Leggete qui con me che cosa ha appena scritto il direttore Claudio Cerasa, a questo proposito, sul Foglio fondato a suo tempo da Giuliano Ferrara, reduce dall’esperienza di ministro nel primo governo Berlusconi, con l’aiuto della famiglia di Arcore: “Bisognerebbe sapere quello che Marina Berlusconi dice in privato ai suoi interlocutori sul populismo trumpiano  per capire perché oggi chiunque tenti di tracciare un parallelismo tra Silvio Berlusconi e Donald Trump non sta facendo altro che avallare, legittimare e alimentare un’impostura politica”. “Donald Trump -ha scritto ancora Cerasa del presunto, falso Berlusconi americano- incarna la paura, l’isolazionismo, il nazionalismo, l’estremismo, il radicalismo, il complottismo e il protezionismo, mentre il fondatore del centrodestra italiano ha incarnato tutto l’opposto”.

Dal Foglio

         Anche nelle piccole cose, chiamiamole così, della cronaca politica quotidiana Il Foglio è andato pesante contestando la rappresentazione appena fatta, anzi vantata dalla premier della realizzazione del piano italiano di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione Europea. Che procede come “una lumaca”, non come un frecciarossa. “Meloni e Fitto -hanno titolato i foglianti- sbandierano risultati poco lusinghieri. Si spende poco e il confronto con Draghi è impietoso”.

Matteo Renzi, detto Rieccolo -alla Montanelli- ma anche Pendolo

Dal Dubbio

Morto il 22 luglio 2001 all’età di 92 anni, quando Matteo Renzi ne aveva 26 e lavorava col papà nella distribuzione dei giornali, non nella loro confezione, il toscanaccio Indro Montanelli non fece in tempo -né poteva ragionevolmente pretenderlo- a vedere le ascese e le discese del suo giovane corregionale. Che nel 2004, post-democristiano,  sarebbe diventato presidente della provincia di Firenze, nel 2009 sindaco della stessa Firenze, nel 2013 segretario del Pd post-comunista e post-democristiano, nel 2014 anche presidente del Consiglio, nel 2017 sarebbe rimasto solo segretario del partito del Nazareno per avere perduto il referendum su una riforma costituzionale imprudentemente trasformata in una santababara, nel 2018 ne sarebbe rimasto solo senatore, nel 2019 pur di ridiventare capo di un partito ne avrebbe creato uno tutto suo chiamandolo Italia Viva, partecipe della  maggioranza del secondo governo di Giuseppe Conte per uscirne nel 2021 spingendo Mario Draghi a Palazzo Chigi. E nel 2022 avrebbe improvvisato con Carlo Calenda un terzo polo equidistante fra il centrodestra e una sinistra, centrosinistra, o come altro si volesse e si voglia tuttora chiamarla, aspirante alla costruzione dell’alternativa al governo in arrivo di destra-centro di Giorgia Meloni.

Il resto non sto qui a ricordarlo minutamente perché è cronaca dei nostri giorni, o delle nostre ore, con Renzi che gioca a pallone con la segretaria del suo ex Pd Elly Schlein, le allunga una palla per uno sfortunato gol fuori gioco, cioè inutile, e contribuisce a crearci sopra, fra interviste e dichiarazioni, un nuovo scenario politico, almeno per sé. Quello di un campo addirittura larghissimo contro la Meloni, del cui governo tuttavia i suoi parlamentari approvano leggi importanti, significative e quant’altro come quella che porta il nome del ministro della Giustizia Carlo Nordio.  Che elimina il reato di abuso d’ufficio, limita la diffusione delle intercettazioni riguardanti persone non direttamente coinvolte nel relativo procedimento penale, circoscrive l’appellabilità delle sentenze di primo grado e stringe le maglie del ricorso alla carcerazione durante le indagini: tutte cose orribili per una certa cultura e politica giustizialista che prevale nel campo dove l’ultimo Renzi -o il penultimo, conoscendone ormai la mobilità- vorrebbe o sarebbe tentato, diciamo così, di entrare dopo essersene tenuto alla larga.

Per tornare al compianto Montanelli e al suo mancato appuntamento con la carriera di questo suo corregionale che da ragazzo lo avrà probabilmente letto sul Giornale e sul Corriere della Sera, dove il grande scrittore fece in tempo a rientrare prima di morire, mi chiedo in questi giorni -avendolo conosciuto e praticato nel lavoro- come avrebbe reagito vedendo applicato appunto a Renzi, come da tempo si fa, il famoso “Rieccolo” da lui assegnato come soprannome ad Amintore Fanfani. Un altro toscano, o toscanaccio, abituato a cadere e a rialzarsi, a salire e a scendere, a scommettere per vincere o perdere in una sostanziale, quasi stoica indifferenza.

Temo -avendo, ripeto, anche lavorato insieme- che Montanelli avrebbe quanto meno storto il muso, come solo lui sapeva fare quando gli dicevi una cosa che non lo convinceva, o comunque egli vedeva qualcosa che non gli andava a genio. In quel “Rieccolo”, con la maiuscola come spetta ad ogni cognome che si rispetti, Montanelli ci vedeva qualcosa di toscanamente elogiativo. Non a caso Fanfani gli fu grato di quel soprannome e lo aiutò nel 1974, quando era segretario della Dc, ad allestire il suo Giornale dopo il licenziamento dal Corriere della Sera e una breve ospitalità concessagli da Gianni Agnelli sulla Stampa. In Renzi forse, anche per la  troppo giovane età rispetto alla sua, Montanelli avrebbe visto più un  modesto “Pendolo” che un valoroso “Rieccolo”. Ma posso sbagliare, per carità, e chiedere scusa a entrambi: al morto e al vivo. Anche se assai inutilmente al morto, e forse neppure utile al vivo, che me ne vorrà ugualmente. Io sono del resto lontanamente un pugliese, non un toscano, né intero come Renzi si ritiene con quel fisico, fuori e dentro un campo di calcio, che lo premia in tutte le foto o le riprese televisive, di ogni tipo ed emisfero, né “mezzo” come con perfidia si diceva di Fanfani mettendolo in croce per qualche centimetro in più negatogli dalla sorte. 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 27 luglio

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