L’irruzione del penultimo Matteo Renzi nella cronaca politica

         Diavolo di un uomo, più botte prende –come la mancata elezione all’Europarlamento- e più Matteo Renzi riesce a rimanere in campo infilandosi nelle prime pagine dei giornali fra Biden e Trump, fra la guerra in Ucraina e quella a Gaza e dintorni, fra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen e sfuggendo persino al blackout informatico che pure ha paralizzato mezzo mondo.

Renzi e Schlein al pallone

         Ora, da quando in una partita di calcio fra politici e cantanti ha passato una palla alla segretaria del Pd Elly Schlein facendole segnare un gol, per quanto annullato per fuori gioco, ma guadagnandosene lo stesso un abbraccio riconoscente e ricambiato, Renzi ha aperto la stagione di un suo possibile ritorno non dico nel Pd, ma almeno nei dintorni. Sistemandosi in quel cosiddetto campo largo che va e viene nelle cronache politiche e creando panico o speranze, secondo i casi.

Dal manifesto

         Il panico è quello avvertito fra i grillini e tradottosi nel titolo, anzi titolino, nella prima pagina del manifesto sul “gelo dei 5 stelle”. Che non hanno dimenticato l’abbraccio di Renzi a Giuseppe Conte nel 2019 per salvarlo dalle elezioni anticipate perseguite da Matteo Salvini, ma ancor più il successivo strattonamento e infine rovesciamento per rimuoverlo da Palazzo Chigi e farlo sostituire con Mario Draghi.

Dalla Notizia

         La Notizia, intesa come giornale, che -diversamente dal Fatto Quotidiano– segue la linea del partito pentastellato senza la pretesa di suggerirla o persino imporla, è andata ben oltre il gelo del manifesto ed ha annunciato con un titolo graficamente sobrio di apertura, sotto un occhiello in rosso che dice “Vade retro”, netto e sicuro: “Conte stronca il piano di Renzi”. Un piano chiamato “centro-sinistra”, col trattino delle prime edizioni dell’analoga formula della seconda metà degli anni Sessanta, quando Aldo Moro realizzò i suoi primi governi a partecipazione socialista con maggioranza “delimitata” a destra e a sinistra, tenendo rigorosamente fuori, rispettivamente, i liberali e i comunisti.

         Che Renzi pensasse o pensi ancora a qualcosa di simile al centro-sinistra col trattino, anche se ormai non esistono più nominalmente né i liberali né i comunisti, si può essere indotti a pensarlo dal riferimento che lo stesso Renzi ha fatto, sempre dopo la partita di calcio con la Schlein, alla Dc “di centro che guarda a sinistra”. Essa fu teorizzata dalla buonanima di Alcide Gasperi quando cominciò ad avvertire il logoramento della politica centrista con i socialisti all’opposizione al pari dei comunisti.

Dal Giornale

         Se il panico di quello che potremmo chiamare il penultimo Renzi, potendosene già prevedere un’altra edizione ancora, è espresso dal manifesto, e un po’ allontanato dalla Notizia, la speranza che l’ex premier stia in fondo lavorando per raggiungere effetti opposti a quelli propostisi o attribuitigli è nel ragionamento e nel titolo dell’editoriale di Alessandro Sallusti sul Giornale: “Renzi a sinistra. Tranello in vista”. Non è proprio una rima, ma poco ci manca.

Tutti i no di Giorgia Meloni nella partita europea

Dal Dubbio

Non so se si debba considerare più sorprendente, esplosivo e quant’alro il no della Meloni a Ursula von der Leyen o ai tanti che in Italia le avevano consigliato di votare, anzi di far votare sì, visto che la premier ha voluto essere eletta al Parlamento europeo avvertendo in anticipo che ne sarebbe rimasta fuori. Consigli formulati pubblicamente alla Meloni, allo scopo di evitare l’isolamento, l’emarginazione, la irrilevanza e altri guai da alleati di governo come i forzisti del vice presidente del Consiglio Antonio Tajani, da esponenti qualificati dell’opposizione come Enrico Letta, già segretario del Pd, senatori a vita come Mario Monti ed estimatori dichiarati come Pier Silvio Berlusconi ai margini di un evento aziendale finito sulle prime pagine dei giornali per altre valutazioni. Che hanno riguardato, in particolare, tempi e modi non condivisi dell’intestazione dell’aeroporto di Malpensa al padre, con le polemiche ne sono conseguite, il progetto leghista di un aumento delle risorse pubblicitarie alla Rai per ridurne il canone, la mancanza di un leader in cui possano riconoscersi i moderati e la necessità forse conseguente che Forza Italia diventi un partito più agguerrito, “di sfida e non di resistenza”. Parole testuali del capo di Mediaset.

Pier Silvio Berlusconi

         Convinto, ripeto, che ai moderati manchi in Italia un leader evidentemente dopo la morte del padre, Pier Silvio Berlusconi non deve considerare moderata la pur conservatrice -e non fascista, come la dipingono i detrattori- Giorgia Meloni. Della quale tuttavia ha tenuto ad apprezzare la guida del governo, sino a consigliarle amichevolmente- ripeto- di non lasciarsi scappare appoggiare pubblicamente la conferma della presidente della Commissione europea, dopo essersi astenuta sulla sua designazione nei vertici dai quali era partita la designazione. Ma la Meloni non ha voluto ascoltare neppure Berlusconi jr, chissà se a costo di fargli crescere la tentazione, cui il giovane ha finora resistito, di imitare in tutto e per tutto il padre, da cui ha dichiarato di avere ereditato pure “il dna della politica”.

Antonio Tajani

         Più ancora della Meloni, tuttavia, sul versante moderato dovrebbe essere Tajani a temere un cedimento di Pier Silvio Berlusconi alla tentazione della politica perché sarebbe francamente difficile immaginare il figlio del Cavaliere in posizione subordinata rispetto al segretario attuale nel partito fondato dal padre, per quanto eletto il vice presidente del Consiglio sia stato eletto al vertice da un congresso nei mesi scorsi. E’ altrettanto difficile immaginare Pier Silvio Berlusconi scendere in politica fuori dal partito fondato dal genitore, di cui ha accettato di ereditare con gli altri familiari anche i debiti, e non solo il ricordo.

         Senza volere essere in qualche modo blasfemi, visto di chi e di che cosa si tratta, il rapporto tra la famiglia Berlusconi, nella sua articolazione maschile e femminile, e Forza Italia è un po’ quello intercorso a suo tempo fra la Chiesa e la Democrazia Cristiana, fino a quando il partito scudocrociato non decise autonomamente di sciogliersi con un telegramma dell’allora e ultimo segretario. Che fu Mino Martinazzoli, preso in giro per questo anche  da Umberto Bossi, che con la sua Lega ne stava ereditando al Nord una parte consistente di elettorato.

Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni d’archivio

         Vedete quante cose, volente o nolente l’interessata, può portarsi appresso il no maturato a sorpresa per molti dalla Meloni alla conferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione di Bruxelles, dopo tante occasioni e immagini fotografiche che le hanno viste accomunate con una certa simpatia nei quasi due anni ormai di esperienza della leader della destra alla guida del governo italiano? La politica è un po’ come la matrioska: la bambola russa che ne contiene tante altre di dimensioni minori ma ugualmente attraenti.  

Pubblicato sul Dubbio

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