Meloni intercetta e abbatte il missile di carta di Salvini contro il Quirinale

Fra le Dolomiti e i sette colli di Roma, il più alto dei quali è il Quirinale, si è vissuta ieri una giornata non di ordinaria ma di straordinaria follia politica.

         Ha cominciato il vice presidente del Consiglio e leader della Lega Matteo Salvini a Cortina,     con tanto di casco giallo in testa a proteggersi da se stesso, opponendo al rischio di una specie di dittatura della maggioranza, vista o intravista fra i rischi avvertiti da Sergio Mattarella, quello più reale, che esisterebbe invece in Italia, di una dittatura delle minoranze. Che in pratica abuserebbero della democrazia per impedire o boicottare la governabilità del Paese.

Dal Giornale

         L’interpretazione politica e mediatica di una polemica di Salvini contro le pur “filosofiche” considerazioni del capo dello Stato davanti ad una platea di cattolici a Trieste è stata unanime. Pure Il Giornale della ora prevalente famiglia Angelucci, leghista dopo un passato forzista, ha titolato: “Salvini attacca il Quirinale”.

         Da Palazzo Chigi la premier Giorgia Meloni ha cercato di intercettare il missile, diciamo così, del suo vice lamentando pubblicamente l’ennesima “strumentalizzazione” delle sortite del presidente della Repubblica per farlo apparire come il capo non dello Stato ma delle opposizioni. Il Quirinale ha gradito e ringraziato definendo “corretta” la lettura data così dalla Meloni al discorso di Mattarella.

Dalla Repubblica

         E’ insomma accaduto, purtroppo non per la prima volta da quando è in carica l’attuale governo, che la Meloni abbia dovuto difendere Mattarella da Salvini. Raccogliendo però stavolta il sostanziale e pubblico ringraziamento del Quirinale. E inducendo il vice presidente leghista del Consiglio a trincerarsi dietro un comunicato di partito di sostanziale arretramento. “Poi il dietrofront”, ha titolato in prima pagina la Repubblica di carta.

         Incidente, un altro incidente chiuso dopo quello, per esempio, di giugno sulla “sovranità europea” contestata dalla Lega a Mattarella in difesa di quella nazionale? Contestata a tal punto da fare prospettare da un senatore del Carroccio le dimissioni del presidente della Repubblica. Più che chiuso, temo socchiuso come incidente, vista ormai l’abitudine dalle parti leghiste di farsi prendere la mano, la parola e altro ancora dal cattivo umore, o dal senso esasperatamente competitivo dei rapporti anche all’interno della maggioranza e del governo.

Dal Secolo d’Italia

         Titola oggi Il Secolo d’Italia, organo praticamente ufficiale del partito della premier, a proposito delle decisioni appena prese dal Consiglio dei Ministri di fronte alle pratiche schiavistiche in agricoltura: “Linea dura di Meloni contro il caporalato”. Si spera anche quello metaforico, e politico, della Lega nella conduzione delle sue lotte fuori e persino dentro la maggioranza? A sinistra Pier Luigi Bersani ogni tanto scommette nei salotti televisivi di cui è frequentemente ospite su qualche strappo fatale della Lega nel centrodestra. Sarebbe il colmo se Salvini gli facesse vincere davvero la scommessa.

Il segreto del sarto di Mattarella è la cucitura doppia dei suoi abiti

Dal Dubbio

Tranquilli. Il sarto di Sergio Mattarella, palermitano o romano che sia, gli confeziona da qualche tempo gli abiti con tutte le cuciture rafforzate. Le risparmia forse solo ai calzini perché ben protetti dalle scarpe, che è più difficile sfilare dai piedi del presidente della Repubblica, per quanto vi possano tentare gli strattonisti, chiamiamoli così, più o meno di professione.

         Il capo dello Stato riporta sempre intatti i suoi vestiti al Quirinale, o nell’appartamento di residenza dove rientra dopo i discorsi e altri interventi nei saloni del palazzo che fu dei papi e dei re. Non a caso è l’unico dei presidenti della Repubblica che abbia ottenuto una conferma piena, completa del suo mandato settennale, perché il secondo conferito nel 2013 al predecessore Giorgio Napolitano nacque notoriamente monco, limitato al tempo strettamente necessario, e consentito dalla sua età, perché le forze politiche fossero in grado in Parlamento di dargli il successore mancato alla sua prima scadenza. Infatti due anni dopo si dimise, passando la mano al presidente ancora in carica.

         Mattarella ha riportato intatti i suoi abiti a casa, anche dopo il dotto, meditassimo intervento -una lezione magistrale, è stata definita giustamente da qualche osservatore con linguaggio universitario- al raduno triestino dei cattolici per le loro settimane sociali.

         Per quanto sventolato come una bandiera nel titolo di apertura dalla Repubblica di carta, che spesso sembra la nave ammiraglia della flotta antigovernativa più che un semplice libero, indipendente quotidiano d’informazione, come una volta si scriveva sotto le testate giornalistiche, il discorso di Mattarella ha volato altissimo dalla prima all’ultima parola. Tanto alto, tra citazioni e moniti, che persino Il Fatto Quotidiano, anche a costo di confondersi con giornali filogovernativi dichiarati come Il Giornale, Libero, La Verità e Il Tempo, non potendolo o non volendolo usare contro la Meloni, lo ha ignorato in prima pagina.

Ieri dalla pagina 5 di Domani

         E Domani, il quotidiano del già editore di Repubblica Carlo De Benedetti, ha confinato in quinta pagina l’articolo di Francesco Peloso che rappresentava il discorso di Mattarella contro “l’assolutismo di Stato” come “un altro messaggio alla destra” che percorre in Parlamento, osteggiata anche in piazza, la strada del cosiddetto premierato: La strada cioè dell’elezione diretta del presidente del Consiglio, anche se sulla già citata Repubblica Tommaso Ciriàco in uno dei suoi retroscena quasi giornalieri ha raccontato di una Meloni tentata dalla “carta segreta” e doppia di un turno anticipato di elezioni -se mai il presidente della Repubblica dovesse o volesse concederglielo- e di un “ritorno” al progetto originario della destra di elezione diretta non del capo del governo ma del capo dello Stato.

         Ormai in quella che noi vecchi giornalisti ci ostiniamo a chiamare ancora politica, e a seguirla con una certa attenzione, mancano solo i botteghini delle scommesse riservate a questo genere di attività, magari sostitutive delle duemila e più edicole dei giornali chiuse negli ultimi due anni per mancanza di clienti, fossero pure solo di giocattoli e altra merce di complemento.

         Neppure Il Foglio del fondatore Giuliano Ferrara e del direttore Claudio Cerasa, che più spesso di altri -debbo riconoscergli non solo per avervi a suo tempo collaborato- riesce a offrire retroscena poi confermati dai fatti, se l’è sentita ieri di portare in prima pagina il discorso di Mattarella per lanciarlo come la bomba a mano contro il governo nella vignetta di Stefano Rolli sul Secolo XIX.

         Giuliano in persona si è speso diligentemente per raccontare, spiegare e quant’altro che Giorgia Meloni, fra Palazzo Chigi, la sua nuova e non ancora completata abitazione privata con piscina e le sue frequenti missioni all’estero, vive sì “un incubo dopo l’altro”, ma solo a causa di “un quadro internazionale” che è “una dannazione per lei e il suo progetto” dichiaratamente, orgogliosamente conservatore.  Non a causa, quindi, degli umori, delle letture e dei discorsi di Mattarella. A procurarle problemi, in effetti, sono entrambi i candidati ancora alla Casa Bianca, oltre Atlantico, o certe destre in Europa che piacciono più al suo vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini che a lei.

  Come si fa, del resto, a stare sereni -direbbe col solito sarcasmo Matteo Renzi- in un continente alle cui porte, se non nei cui confini, sono in corso vere e proprie guerre, come in Ucraina e in Medio Oriente, condotte entrambe in modo alquanto spietato? Solo un irresponsabile -o un “analfabeta di democrazia”, ripeterebbe Mattarella- dormirebbe tranquillo tra i classici due guanciali.

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑