Le censure, o ossessioni, di Facebook per i mei graffi politici…..

Temo che per Facebook i mei post di www.graffidamato.com siano diventati un’ossessione. Ne sono stati rimossi due nei giorni scorsi perché  avevano richiamato la cena delle beffe di Sem Benelli per gli incontri conviviali dei vertici europei, a Bruxelles, dopo le elezioni dell’8 e 9 giugno per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. Beffe, perché avvertite dalla premier italiana Giorgia Meloni come poco riguardose per gli elettori e/o i risultati penalizzanti per almeno alcuni leader o governi che ritengono di potere continuare a concordare fra di loro gli assetti dell’Unione Europea

Oggi, 29 giugno, la rimozione è toccata ad un articolo nel quale le difficoltà degli elettori americani, dopo il duello televisivo fra Joe Biden e Donald Trump, sono ritenute forse anche  maggiori, o peggiori, di quelle degli elettori europei. E si riporta la previsione o l’auspicio di Giuliano Ferrara sul Foglio che una donna -Michelle Obama, moglie dell’ex presidente- sostituisca Biden e permetta ai democratici di vincere. Un pò come una donna in Italia -ho pensato e scritto- ha fatto sul versante del centrodestra rendendolo vittorioso. 

Sono io, pur nella mia modestia, o l’ombra della Meloni a infastidire Facebook? A saperlo. 

Se gli elettori americani sono messi persino peggio di quelli europei

Dal Fatto Quotidiano, ma anche dalla Verità

Senza bisogno di maramaldeggiare dando al presidente degli Stati Uniti del Rimbambiden, come hanno fatto da sinistra e da destra in Italia Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano e Maurizio Belpietro sulla Verità, in una convergenza per niente nuova, bisogna convenire che gli elettori americani non se la passano bene.

Forse essi stanno peggio anche degli europei che hanno appena votato per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo e debbono assistere impotenti al tentativo degli sconfitti eccellenti -Emmanuel Macron a Parigi e Olaf Sholz a Berlino- di fargliela pagare cara facendo finta di niente. Cioè continuando nei riti e nella logica che Gorgia Meloni, uscita meglio di tutti dalle urne, ha definito “del caminetto”, come nella cosiddetta prima Repubblica. Quando ancora la premier attuale non era ancora nata ma si scriveva e si diceva così  delle riunioni che i capi delle correnti democristiane tenevano alla Camilluccia per segnare la fine di un governo o di un segretario e la nascita di un altro. Ma anche cose minori, almeno nell’apparenza.  

Donald Trump

         Non so se oltre Atlantico, dopo il duello televisivo fra il presidente uscente e il suo rivale,  gli elettori debbano temere di più le dita che Joe Biden si passa sugli occhi quando cerca parole o idee o il ciuffo che il Donald Trump porta sulla fronte come una specie di bandiera. O di segnale a qualche altro assalto al Campidoglio americano se il risultato di un’elezione non gli piacesse, o non dovesse essere funzionale alle sue mai modeste ambizioni.

Dal Tempo

         Scommetto comunque, nonostante gli “Usa & getta” del titolo del Tempo di Tommaso Cerno, che negli Stati Uniti riusciranno a cavarsela da soli, diversamente da noi europei che in altre occasioni abbiamo avuto bisogno di loro per uscire dai guai nei quali ci eravamo ficcati in due sanguinosissime guerre mondiali. E magari questo avverrà oltre Atlantico nelle elezioni di novembre -senza far perdere in Italia la testa alla Meloni, che ha problemi pure lei, nonostante la vittoria dell’8 e 9 giugno-  ricorrendo pure da quelle parti ad una donna. Che Giuliano Ferrara sul Foglio ha previsto, immaginato, auspicato in Michelle Obama, la moglie dell’ex presidente degli Stati Uniti, come candidata dei democratici recuperata all’ultimo momento, se mai Biden dovesse rinunciare o costretto al ritiro. E che invece Cerno, sempre sul Tempo, ha previsto, immaginato, auspicato pure lui in Hillary Clinton, anche lei moglie di un ex presidente degli Stati Uniti ma già battuta da Trump nel 2016, pur avendo i democratici raccolto nelle urne il 48,2 per cento dei voti contro il 46,1 dei repubblicani. Sono gli scherzi della democrazia presidenziale americana cui gli Stati Uniti sono finora riusciti a sopravvivere, ringraziando la statua della Libertà eretta a loro protezione e insieme accoglienza.

Ripreso da http://www.startmag.it

Dallo strappo al budino della Meloni nella partita europea di Bruxelles

Dal Dubbio

E’ bella la sensazione, per quanto illusoria, di ringiovanire con la cronaca, specialmente quella politica, che è alquanto accidentata. Lo “strappo”, per esempio, evocato nel suo titolo di apertura della Stampa riferendo del Consiglio Europeo -a proposito dell’astensione di Giorgia Meloni sulla designazione della pur ormai amica tedesca Ursula von der Leyen per la conferma a presidente della Commissione e del no opposto al socialista portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio e alla liberale estone Kaja Kallas ad alto commissario per la politica estera e la sicurezza dell’Unione- mi ha portato indietro di una cinquant’anni.

Dalla Stampa di ieri

Allora si scriveva e si parlava degli strappi, al plurale, di Enrico Berlinguer non da Bruxelles ma da Mosca, non dall’Unione europea che doveva ancora arrivare, ma dall’Unione Sovietica e dal partito comunista che l’aveva praticamente fondata e la governava. E che erano stati per lungo tempo -l’una e l’altro- i riferimenti obbligati del partito comunista pur italiano.

         Berlinguer cominciò con la indivisibilità del concetto e del principio della libertà. Che fece mormorare i sovietici ai quali parlava ed esultare a Roma il non certamente comunista Ugo La Malfa, tanto da fargli ritenere praticabile, anzi “ineluttabile”, fra le proteste e gli insulti del suo amico Indro Montanelli, un’intesa fra la Dc e il Pci per fronteggiare le emergenze economiche e di ordine pubblico che attanagliavano il Paese.

Enrico Berlinguer

         Il segretario del Pci, che aveva già posto il problema di un “compromesso storico” con i democristiani dopo il tragico epilogo dell’esperienza cilena di un governo delle sole sinistre, continuò dicendo a Giampaolo Pansa -in una intervista al Corriere della Sera- di sentirsi protetto pure lui dall’alleanza atlantica. Salvo poi, in verità, contestare anche nelle piazze il piano di riarmo missilistico della Nato predisposto e attuato per recuperare lo svantaggio derivato dalla installazione degli SS 20 puntati conto le capitali dell’Europa occidentale dall’alleanza dei paesi comunisti dell’Est.

         Infine Berlinguer annunciò in una tribuna elettorale televisiva la “fine della fase propulsiva della rivoluzione d’ottobre” comunista commentando in televisione la situazione della Polonia. Dove per dissuadere i sovietici dall’occuparla un generale assunse la guida di un governo a garanzia della fedeltà a Mosca.

Amintore Fanfani

         Certo, gli strappi dell’allora segretario del Pci, espostosi tanto nel dissenso da Mosca da procurarsi un attentato in Bulgaria salvandosene miracolosamente, sono ben diversi da quello appena attribuito alla Meloni da Bruxelles nel Consiglio europeo. Che vi è andata -non dimentichiamolo- dopo un dibattito parlamentare in Italia conclusosi con un voto di maggioranza, sia alla Camera sia al Senato, e un incontro col presidente della Repubblica preoccupato pure lui -a dir poco- della possibilità che i nuovi assetti europei fossero decisi prescindendo dall’Italia. Ma il termine “strappo” per indicare, sia nel bene sia nel male, reale o presunto che sia, una svolta ha una sua suggestione. Potrebbe essere inclusa fra le “parole magiche” della politica, per usare un’espressione dell’allora presidente del Senato Amintore Fanfani. Che peraltro non ne era tanto convinto o soddisfatto perché indirizzate, quelle parole tipo “confronto”, a sostenere la “irreversibilità” del centrosinistra che, secondo lui, condannava quella formula a non dipendere più dalla supremazia della Dc nei rapporti con i socialisti. Eppure nel 1973 sarebbe toccato proprio a lui, a costo di sostituirsi alla segreteria del partito al suo ormai ex delfino Arnaldo Forlani ripristinare l’alleanza col Psi interrottasi l’anno prima per l’elezione di Giovanni Leone al Quirinale.

Giorgia Meloni a Bruxelles

         Lo strappo -ripeto- della Meloni da Bruxelles preoccupa oggi la sinistra, o gran parte di essa, per una temuta prevalenza della leader della destra italiana sul suo suolo di presidente del Consiglio: una prevalenza avvertita anche nella titolazione da un giornale come il Riformista. Ma la premier ha solo avviato, non concluso una partita, che è quella della formazione della nuova commissione e del posto che riuscirà a farvi assumere dall’Italia, intesa sia come governo sia come “Nazione”, per usare un’espressione cara alla Meloni e spesso dileggiata da certe opposizioni. Bisognerà quindi vedere come si concluderà questa partita. Il budino notoriamente, e giustamente, si prova mangiandolo.

Pubblicato sul Dubbio

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