La Meloni non si diverte ma neppure si annoia a Palazzo Chigi e dintorni

Da Repubblica

         Neppure la festa della Repubblica ha attenuato l’ossessione di un certo antifascismo nei riguardi di Giorgia Meloni ospite di Sergio Mattarella al Quirinale, fra saloni e giardini. Stefano Cappellini, che evidentemente contende sulle pagine di Repubblica, quella di carta, a Massimo Giannini il primato dell’avversione alla premier, ne ha raccontato e commentato così la presenza, partecipazione e quant’altro alla festa sul Colle: “In fondo, una Repubblica l’aveva creata già Lui, Repubblica sociale italiana, Rsi, e bastò cambiare una lettera per avere il partito madre, o padre, di Fdi”, cioè dei fratelli d’Italia.

Meloni al comizio in Piazza del Popolo

         “Lui” naturalmente è Benito Mussolini. La “lettera” cambiata è la M -sempre come Mussolini- che avrebbe consentito il passaggio dalla Rsi alla sigla del Movimento Sociale: Msi. Tutto torna nella immaginazione e quant’altro di Cappellini. Che non si è lasciato distrarre neppure dall’abito appena indossato dalla Meloni, correndo  alla festa al Quirinale, per dimenticare la tenuta di combattimento, diciamo così, lasciata in Piazza del Popolo, sempre a Rona. Dove la premier aveva  arringando la folla degli elettori del voto europeo di sabato e domenica prossimi. Un comizio nel quale Cappellini è riuscito a intravvedere “il manganello, solo dialettico, per carità”. Il manganello evidentemente avvertito, sempre metaforicamente, nell’urlo levatosi sotto il Pincio dalla Meloni verso la lontanissima segretaria del Pd Elly Schlein per farla dissociare almeno dal candidato della sinistra alla presidenza della nuova commissione europea che aveva appena negato alla premier italiana il diritto di sentirsi democratica.

Elly Schlein

Niente. Elly non solo non l’ha difesa- come non difese la Meloni dalla “stronza”, “stracciarola” eccetera affibbiate a suo tempo alla premier dal governatore piddino della Calabria Vincenzo De Luca- ma ha aggiunto di suo l’accusa alla rivale politica  di “togliere la libertà” agli italiani, tra premierato, separazione delle carriere giudiziarie e altro. E’ l’antifascismo, bellezza.

Dal Corriere della Sera

         Appartiene un po’ a questo filone ossessivo anche l’ironica domanda rivolta alla Meloni, proprio nei giardini del Quirinale, da un apparentemente spiritoso Francesco Rutelli: “Ti diverti?”, evidentemente a Palazzo Chigi e dintorni. E lei: “Non mi annoio, ma tra un non mi annoio e un mi diverto ne passa”.

Francesco Rutelli

Non si annoiava neppure Rutelli quando era sindaco di Roma e poi vice presidente del Consiglio e ministro di Romano Prodi e infine cofondatore del Pd. Dal quale i post-comunisti lo fecero scappare, senza più farlo tornare indietro, quando decisero di fare di quel partito solo o soprattutto la prosecuzione del Pci. Fu troppo anche per Rutelli, di provenienza o formazione radical-pannelliana.

Ripreso da http://www.startmag.it

Il curioso antifascismo di chi rimpiange il codice Rocco fascistissimo

Da Libero

Fra i morti evocati nelle polemiche sulla riforma costituzionale della giustizia appena varata dal governo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, e di Carlo Nordio in via Arenula, ce n’è uno è sfuggito ai titoli dei giornali.  Che sono stati tutti concentrati -nel bene e nel male- su Silvio Berlusconi, Bettino Craxi, Giovanni Falcone e Licio Gelli, in ordine semplicemente alfabetico, senza voler fare torto a nessuno di loro, e tanto meno metterli davvero insieme.

Pier CamilloDavigo

         Pier Camillo Davigo -sì, proprio lui, il “dottor Sottile” del pool milanese mani pulite del 1992, come lo definivano i colleghi ammirati della sua preparazione, poi spinto da circostanze più o meno diaboliche dall’altra parte del bancone della giustizia come imputato- sta tentando inutilmente di trascinare nel processo alla riforma anche il compianto Giuliano Vassalli. Vi ha tentato -se non mi sono sfuggiti altri interventi- prima sul Fatto Quotidiano e poi sul Corriere della Sera con un’intervista in cui si è, fra l’altro, contrapposto al collega di un tempo Antonio Di Pietro. Al quale tuttavia, pur dissentendo dalla valutazione favorevole alla separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, egli ha riconosciuto la “ragione” quando contesta i richiami a Berlusconi e Craxi per liquidare una riforma che sarebbe “sbagliata di suo”.

Davigo e D Pietro d’archivio

Già in questo però Davigo si contraddice perché agli altri morti lui, nel tentativo di demolizione del progetto governativo, ha sostanzialmente aggiunto o persino sovrapposto Vassalli, appunto Dalla cui riforma del processo penale, entrata in vigore nel 1989, quando Vassalli era ministro della Giustizia, prima che passasse alla Corte Costituzionale, sarebbe nato un lungo elenco di inconvenienti. Chiuso per ora dalla prospettata separazione delle carriere dei magistrati del giudizio e dell’accusa. Chissà cos’altro dovremmo ancora aspettarci.

         Fra gli inconvenienti della riforma della buonanima di Giuliano Vassalli ci sarebbe da mettere, sempre secondo Davigo, la correlata modifica dell’articolo 111 della Costituzione. Che dal 1999 parla di “giusto processo regolato dalla legge”, da svolgersi “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”, e di “ragionevole durata”.

Carlo Nordio

         Il processo precedente a questo articolo della Costituzione e alla riforma Vassalli del 1989, come ricorda spesso Carlo Nordio aggiungendo anche la memoria della medaglia della Resistenza a Vassalli, era quello disciplinato sotto il fascismo nel 1930 dal giurista Alfredo Rocco.

Alfredo Rocco

          Da tutto ciò si deve dedurre, se la logica ha ancora un senso, un valore, chiamatelo come volete, che l’antifascismo militante, secondo il quale la Meloni ci starebbe riportando al fascismo anche con la separazione delle carriere giudiziarie, oltre che col premierato e tutto il resto, è semplicemente impazzito. Esso dimentica che l’indipendenza, l’autonomia e quant’altro della magistratura minacciate ora dalla Meloni e dalle sue squadracce in nuce, tra Parlamento e piazze, tra sberleffi e comizi, costituiscono un’eredità lasciata alla Democrazia e alla Repubblica, con le dovute maiuscole, dal fascistissimo codice Rocco.

         Avrei ancora altro da scrivere, ma non riesco ad andare oltre, scusandomi col direttore e col pubblico di questa brevità d’intervento, perché in preda ad una incontenibile voglia mista di riso e di sdegno, naturalmente antifascista. Mi chiedo se sia troppo provocatorio un invito alla riflessione all’agguerritissima associazione nazionale -e combattentistica, direbbe Sabino Cassese- dei magistrati.

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