Dall’alba manettara di Genova alla solita, sadica gogna mediatica

Dalla prima pagina del Corriere della Sera

         Altro che lo “choc in Liguria” annunciato dal Corriere della Sera dopo l’arresto del “governatore” di centrodestra Giovanni Toti, e più o meno amici, per corruzione. O il “terremoto” preferito nella titolazione da altri giornali per dare una forza, diciamo così, sismica all’iniziativa dei magistrati spezzini e genovesi. Che lavorano da quattro anni attorno a un pentolone esploso -guarda caso, non unico- a un mese da elezioni in tutta Italia, stavolta per il rinnovo del Parlamento europeo.

Dalla prima pagina dell’Unità

         Vedremo di quanti anni avranno bisogno Toti e gli altri finiti nel pentolone per essere regolarmente processati e giudicati, magari assolti com’è accaduto ad altri “governatori” di vario colore politico che sono già passati per la stessa esperienza in Umbria, Basilicata e Calabria. E soprattutto vedremo, come ha titolato Piero Sansonetti sulla sua Unità, “chi sarà il prossimo” a cadere più o meno all’alba, secondo i riti della Tangentopoli di una trentina d’anni fa, sotto i colpi della magistratura in pendenza elettorale.

Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano

         I quattro anni d’indagine, e di lontananza dai fatti, sono significativamente, sospettosamente lunghi quanto i cinque mesi che ha impiegato l’ufficio del giudice competente ad evadere la richiesta di arresto domiciliare di Toti. Tutti tempi, questi, su cui si è pubblicamente interrogato anche il ministro della Giustizia, ed ex magistrato, Carlo Nordio incorrendo per i suoi dubbi, o la sua curiosità, nelle solite proteste di quanti preferiscono non porsi questi problemi e gustarsi con voracità la gogna anticipatrice del processo. Una gogna come quella, per esempio, che si trova nel titolo scelto per l’apertura del suo Fatto Quotidiano da Marco Travaglio: “Toti ottiene il terzo mandato. Di cattura”.

Sempre dal Fatto Quotidiano

         Come si fa con i cani quando si decide di bastonarli a morte, Travaglio ha insistito con il suo editoriale scrivendo testualmente del malcapitato: “Ora che Giovanni Toti sì è guadagnato il meritato terzo mandato (quello di cattura), l’unico stupore è che fosse rimasto a piede libero così a lungo. Mancava solo lui nella foto di gruppo degli ex-allievi della scuola berlusconiana di furto con scasso e/o mafiosità finiti in manette: Previti, Formigoni, Galan, Brancher, Verdini, Dell’Utri, Cuffaro, Cosentino, Matacena, D’Alì (altro che rimpiangere B.”.

Dal Secolo XIX

         Di rinforzo a Travaglio è sceso in campo sul Secolo XIX di Genova Stefano Rolli con la sua vignetta di giornata, dove Berlusconi si gode dall’aldilà lo spettacolo rammaricandosi di avere “sottovalutato” in vita il suo ex consigliere, e per qualche ora persino delfino.

Massimo Gramellini sul Corriere della Sera

         Tanto livore nella rappresentazione delle vicende giudiziarie può apparire in contrasto con la reazione comune avvertita sulla prima pagina del Corriere da Massimo Gramellini scrivendo di “vabbeismo”, di gente cioè ormai abituata a certe cronache e sostanzialmente indifferente. Il filo che unisce il sarcasmo e il “vabbeismo” è l’antipolitica, che temo debba alla magistratura molto più che alla cattiva politica in attesa di giudizio.

Ripreso da http://www.startmag.it

Lo sciopero (politico) in Rai caduto rovinosamente dal cavallo

Da Libero

Ai mei tempi -che brutto inizio, lo so, ma sono gi inconvenienti dell’età, e relativa esperienza- capitava di raccogliere lamenti e sfoghi privati di leader autorevoli di partiti al governo contro gli inconvenienti della lottizzazione della Rai. Che pure essi erano accusati di praticare dalle opposizioni, almeno fino a quando anch’esse non furono ammesse ai suoi riti, benefici e costi.

         Si lamentavano i signori del governo, chiamiamoli così, di essersi occupati e di occuparsi ancora troppo dei vertici giornalistici -direttori, vice direttori, caporedattori eccetera- dei telegiornali pubblici e simili e troppo poco delle redazioni. Che alla fine risultavano sempre più affollate di giornalisti ostili. I quali erano capaci per numero, ma qualche volta anche per qualità, di condizionare i superiori e rendere loro la vita difficile, persino impossibile.

         Nel raccogliere i loro lamenti, a commento di questa o quella cattiva sorpresa riservata da qualcosa di non gradito appena visto a un telegiornale o ascoltato a un giornale radio, io cercavo di consolare i lottizzatori sfortunati dicendo che in fondo ciò che accadeva in Rai si ripeteva, sia pure in forma forse ridotta, nei giornali stampati. E poi anche nelle redazioni televisive private, a cominciare da quelle del Biscione. Dove l’editore e allora mio amico Silvio Berlusconi si accorgeva ogni tanto di qualche “comunista” -diceva- sfuggito all’attenzione sua e degli amici fidati e fedeli al momento dell’assunzione, o selezione.

         Quando capitò anche a me di collaborare alla Rai, su proposta -lo confesso- di un consigliere d’amministrazione che mi venne a trovare personalmente nella redazione romana del Giornale fondato e diretto ancora da Indro Montanelli, mi accorsi personalmente della realtà lamentata dai lottizzatori di più vecchia data. E me ne andai, preferendo la tv privata e infine la vecchia, cara carta stampata, quando mi accorsi della fatica di Sisifo nella quale rischiavo di perdermi.

         Con il primo di non ricordo più quanti scioperi giornalistici programmati alla Rai contro la cosiddetta Telemeloni, e conclusosi in canti opposti di vittoria fra chi vi ha aderito e chi è stato accusato di averlo boicottato, mi sembra francamente che le cose siano cambiate rispetto -ripeto- ai miei tempi. Lo scrivo con tutti i benefici naturalmente del solito, prudente inventario. Ma col conforto di uno sicuramente più pratico di televisione e di Rai di me come Giovanni Minoli. Che ha avvertito nei due telegiornali su tre andati più o meno regolarmente in onda una piccola replica della caduta del muro di Berlino del 1989.

La sigla del Tg1 “crumiro”

         Evidentemente le redazioni sono, o sono diventate, più governabili di prima. Non a caso, del resto, è finito il monopolio sindacale dei giornalisti della Rai. La cui maggiore organizzazione non si accorge -cieca come Dio sa rendere quelli che vuole perdere, secondo un vecchio proverbio- di quanto si denudi da sola proclamando l’ottanta per cento della partecipazione ad uno sciopero del quale la stragrande maggioranza del pubblico non si è accorto, salvo che per la lettura dei comunicati di protesta contro l’azienda, e di difesa di quest’ultima, fortunatamente ancora ammessa a questo diritto.

La sigla del Tg2 “crumiro”

         La ciliegina sulla torta, chiamiamola così, è stata messa dalla insospettabile Repubblica, sostenitrice della protesta, sovrapponendo la parola “Politica”, come occhiello, al titolo di prima pagina dedicato allo sciopero nell’azienda di viale Mazzini presidiata dal famoso cavallo di bronzo.  E’ stata quindi una partita tutta esclusivamente politica. Di sindacale non c’è stato praticamente nulla. E non serve certamente a ravvivarne lo spirito la regressione del linguaggio, e della polemica, con quel grido di “crumiri” lanciato contro quanti legittimamente non hanno aderito allo sciopero ed hanno preferito onorare in altro modo, diciamo così, il servizio pubblico al quale sono preposti. E di cui sono forse in troppi a riempirsi la bocca salendo sulle barricate non tanto contro un’azienda quanto contro uno scenario politico non previsto, non desiderato e prevedibilmente non rovesciabile in questa -per loro- dannata, fottutissima legislatura. Che rischia di smentire anche il passato di una, anzi più riforme costituzionali destinate a non superare il vaglio referendario. Un futuro diverso sarebbe semplicemente l’Apocalisse per lor signori, alla rovescia rispetto a quelli sfottuti dell’indimenticabile Fortebraccio sull’Unità dell’ancora florido Pci.

Pubblicato su Libero

Ripreso da http://www.startmag.it l’11 maggio

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