Quanti soccorsi al generale Vannacci nella contestata corsa all’Europarlamento

il generale Roberto Vannacci

Com’è accaduto col suo primo libro sul “mondo al contrario”, ma pare non si stia ripetendo col secondo sul suo “coraggio” e le sue “incursioni”, gli avversari o soltanto critici del generale Roberto Vannacci sono anche i suoi soccorritori. Ora, aumentandone la notorietà, gli stanno tirando la volata nelle elezioni europee alle quali Matteo Salvini lo ha candidato nelle liste della Lega non so, francamente, se per aumentarne la pescosità, come deve avere pensato, o ridurla ulteriormente. Come pare che siano in molti fra i leghisti a temere, ma un po’ anche a sperare per poi processare meglio, o di più, un capo salito troppo in alto nelle precedenti elezioni europee, superando il 34 per cento dei voti, per sopravvivere più di tanto sotto il 10, e persino il 7 per cento cui è sceso nelle ultime elezioni locali e nei sondaggi a livello nazionale.

Vannacci ostenta l’invettiva del Pd

         Vannacci…tuoi, sussurrano gli antipatizzanti non rendendosi conto che anche questa imprecazione rischia di favorirlo. Come la paura avvertita dalla titolare di quell’auditorium o teatro di Cremona che prima gli ha concesso e poi negato l’ospitalità per la presentazione elettoralistica della sua seconda fatica letteraria. Si è spaventata, la poveretta o sventurata, della mobilitazione della Digos per garantire la sicurezza al candidato sinora più alto in grado, almeno militare, al Parlamento europeo.  Che, contestatissimo ieri con disordini anche a Napoli, ha ripiegato verso una quindicina di chilometri di distanza da Cremona accettando la sala consiliare offertagli per il 10 maggio dal Comune di Robecco d’Oglio, di poco più di duemila abitanti ma provvisto di due frazioni, entrambe a 48 metri di altezza, protette con l’intero territorio municipale da san Biagio. Che è anche, a livello mondiale, il protettore dei malati di gola: non nel senso gastronomico, di amanti cioè dei dolci ed esposti al rischio di diabete.

Umberto Bossi

         Soccorrono il generale, vittimizzandolo forse più di quanto non meriti, anche quelli che si sono proposti di contestarne la candidabilità -codice militare in mano- per avere lavorato al servizio dell’Esercito, e della Patria naturalmente, con le dovute maiuscole, in una delle circoscrizioni dove Salvini lo ha messo in pista per il volo a Strasburgo.  Male che vada, gli resteranno le altre piste, si sarà detto il vice presidente del Consiglio, ministro delle Infrastrutture e conduttore del Carroccio. Dove il generale potrà aiutarlo a restare, ma anche a scendere facendosi assai male sotto gli occhi soddisfatti di Umberto Bossi in marcia verso il compimento tardo-estivo, il 19 settembre, degli 83 anni. Vergine, di segno zodiacale, contro i pesci di Salvini e la bilancia di Vannacci.

Ripreso da http://www.startmag.it

Tutte le …sfortunate vittorie italiane nelle elezioni europee

Dal Dubbio

Fratelli e sorelle d’Italia, lanciati al seguito di Giorgia Meloni verso il traguardo elettorale del 9 giugno con buone probabilità di tagliarlo da vincitori a livello nazionale, non sono evidentemente scaramantici. Hanno sfidato e stanno sfidando anche la sorte, essendo solido l’elenco delle vittime, paradossalmente, delle vittorie in questo tipo di elezioni.

I funerali di Enrico Berlinguer nel 1984

         Il Pci dell’Enrico Berlinguer appena scomparso nel giugno del 1984,  favorito anche dall’emozione popolare provocata da quella morte del leader sul campo, colto da ictus durante un comizio, sorpassò la Dc, sia pure di poco, anzi pochissimo. L’una si fermò al 32,9 e l’altro salì al 33,3 per cento dei voti.  Ma non più tardi dell’anno dopo, sotto la guida di Alessandro Natta che ne aveva ereditato anche il proposito di sfidare il governo di Bettino Craxi sulla strada di un referendum contro i tagli anti-inflazionistici alla scala mobile dei salari, perse rovinosamente. Quasi come nel 1974 era accaduto alla Dc guidata da Amintore Fanfani nel referendum contro il divorzio.

Silvio Berlusconi e Umberto Bossi prima della rottura nel 1994

         Silvio Berlusconi con la sua Forza Italia vinse nel 1994 le elezioni europee salendo in pochi mesi dal 20 per cento e rotti delle politiche di marzo al 30 per cento di giugno. Ma creò un tale panico nell’alleata Lega di Umberto Bossi- scesa dall’8 e rotti per cento al 6,5 – da subirne l’abbandono e la conseguente crisi di governo. Che fu aperta con la garanzia data al “senatur” dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che non avrebbe pagato lo scotto di elezioni immediatamente anticipate. Esse sarebbero arrivate l’anno dopo, quando la sinistra sotto l’Ulivo si era attrezzata con Romano Prodi per una rivincita.

Matteo Renzi

         Una ventina d’anni dopo ancora Matteo Renzi, fresco di conquista della segreteria del Pd e della presidenza del Consiglio, ai danni di un Enrico Letta illusosi della serenità promessagli dall’allora amico, superò addirittura il 40 per cento dei voti nelle europee. Ma  meno di due anni dopo sarebbe rimasto con le pezze al sedere, sconfitto prima nel referendum sulla sua riforma costituzionale e poi nella scissione del partito promossa da Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza, in ordine rigorosamente alfabetico. Seguì naturalmente la sconfitta nelle elezioni ordinarie del 2018: quelle della vittoria delle 5 Stelle grilline, arrivate addirittura alla guida del governo con l’allora quasi sconosciuto ma orgogliosamente “avvocato del popolo” Giuseppe Conte.

Matteo Salvini al Papeete nel 2019

         L’anno dopo ancora la Lega  guidata da Matteo Salvini, e autorizzata dall’ancora alleato elettorale Berlusconi a sperimentare la collaborazione di governo con i grillini, sbaragliò tutti nelle europee col 34,26 per cento dei voti. Proprio tutti: da Berlusconi a Grillo. E, inebriato da quella vittoria più che dagli aperitivi del Papeete contati dai cronisti sulle spiagge romagnole, “il capitano” promosse una crisi di governo. Che però lo avrebbe portato non alle elezioni anticipate, accarezzate inutilmente come da Berlusconi quando era caduto per mano di Bossi, ma al suo passaggio all’opposizione, E alla nascita del secondo governo Conte, che lui -sempre Salvini- non aveva messo nel conto fidandosi dell’impegno pubblicamente preso dall’allora segretario del Pd Nicola Zingaretti di non muoversi dall’opposizione senza un passaggio elettorale.

Quell’impegno fu tradito dal fratello del commissario Montalbano con il consenso,  anzi sotto la spinta di un Renzi ancora per poco nel Pd, da cui sarebbe uscito ad operazione compiuta per meglio sabotare dall’interno il nuovo governo lungo la strada. Che fu breve, essendo il Conte numero 2  durato faticosamente per meno di un anno e mezzo, sostituito da Sergio Mattarella con Mario Draghi avvertito un po’ dal premier uscente come un carro attrezzi.

Giorgia Meloni a Pescara domenica scorsa

E’ tutta non dico storia, anche se siamo partiti dal lontano 1984, cioè dal secolo scorso, ma cronaca incontrovertibile. Che fratelli e sorelle d’Italia -ripeto- baldanzosamente guidati da Giorgia, il cui nome deve bastare ed avanzare per essere votata, anzi plebiscitata, stanno coraggiosamente sfidando, bisogna a questo punto ammettere. “Audentes fortuna iuvat”, dicevano i latini.

Pubblicato sul Dubbio

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