Un professore poco emerito contro la riforma costituzionale del premierato

Da Libero

E bravo il professore Gustavo Zagrebelsky, 81 anni da compiere a giugno, presidente emerito della Corte Costituzionale, come altri del suo rango, pur avendola presieduta davvero vent’anni fa solo per gli ultimi nove mesi del suo mandato di giudice della Consulta, che dura nove anni. Il nove dev’essere stato e dev’essere ancora per lui un numero magico. Nove d’altronde sono anche i mesi della gravidanza da cui nasce da sempre l’uomo, a meno di clamorose sorprese sul nostro passato preistorico.

         Già scettico dal primo momento, sia pure in una chiave ironicamente ottimista che obbligò Repubblica, ospitandone l’articolo, a mettere sull’avviso i lettori, invitati a non credere davvero che la riforma del cosiddetto premierato fosse destinata per la sua popolarità a superare anche la prova del fuoco di un referendum confermativo; già scettico, dicevo, dal primo momento dietro una cortina di sarcasmo, il professore si è sempre più preoccupato della possibilità di un’elezione diretta del presidente del Consiglio. E dell’abuso che si vorrebbe fare, secondo lui, di un premierato che appartiene ad altre storie politiche e istituzionali, non a quella della Repubblica italiana.

Gustavo Zagrebelsky su Repubblica del 21 marzo

         Ora il professore sembra avere trovato l’argomento magico -come “le parole magiche” delle quali si lamentava ai suoi tempi Amintore Fanfani a proposito del dibattito politico fuori e dentro la sua Dc- da opporre al progetto di Giorgia Meloni. Leggetelo questo argomento pari pari come sviluppato ieri, sempre su Repubblica, dall’interessato: “Ogni sistema di governo deve valutarsi nelle condizioni date. Guardiamo come si svolge la lotta politica (si dice così: lotta) nel nostro Paese e in questo momento: propaganda sfacciata, fake news, intimidazioni e ricatti, dossieraggi, linguaggio d’odio, rimbambimenti. E’ pericoloso dividere i cittadini in due e aizzarne l’una parte contro l’altra. Chi penserebbe ancora alle elezioni come una festa della dignità dei cittadini, alla quale si partecipa indossando l’abito buono?”. E addirittura per eleggere direttamente il presidente del Consiglio, che è pur sempre il capo del Governo, con la maiuscola, nonostante il minuscolo, salvo poche eccezioni, cui ci hanno abituato partiti, correnti e sottocorrenti trattando prevalentemente dietro le quinte sulla sua nascita e sulla sua morte, magari con l’intermezzo di qualche rimpasto o fotocopia.

Da Repubblica del 21 marzo

         Nelle “condizioni date” di oggi, quindi, secondo il presidente emerito- ripeto- della Corte Costituzionale, non di un circolo di caccia, la maggioranza di governo uscita legittimamente dalle urne del 2022, meno di due anni fa, dovrebbe subire due volte i danni in corso di accertamento, sotto tutti i punti di vita, del dossieraggio cui parecchi suoi esponenti, e collaterali, sono stati sottoposti. I danni prima dello sputtanamento a dir poco tentato e poi della rinuncia alla principale delle riforme progettate – “la madre di tutte le riforme” nella definizione della Meloni- per una intossicazione del dibattito politico tale da avere compromesso la praticabilità delle elezioni. Che a questo punto -grasso che cola- non dovrebbero spingersi oltre un rinnovo delle Camere con le liste praticamente confezionate e boccate dai partiti, o movimenti che si offendono a sentirsi chiamare partiti.

Da Repubblica del 21 marzo

         Ho purtroppo qualche anno in più del professore eccetera eccetera Gustavo Zagrebelsky. Ho più modestamente fatto nella mia vita soltanto il mestiere del giornalista, o del “pennivendolo”, come ci chiamava la buonanima di Ugo La Malfa quando era di cattivo umore. Ma ho ricordo di parecchie, quasi abitudinarie campagne elettorali svoltesi con una certa animosità, a dir poco. A volte intossicate davvero: per esempio col sangue che spargeva per le strade il terrorismo, o con le irruzioni giudiziarie. E non ricordo un lamento, dico uno, dell’allora professore e altro ancora in servizio Gustavo Zagrebelsky, diventato adesso così schifiltoso. O così preoccupato -pardon- della nostra quiete politica ed elettorale.

Pubblicato su Libero

La paura del ritorno di un terrorismo che non se n’è mai andato

Dalla prima pagina del Giornale

         “Torna l’incubo terrorismo”, ha titolato persino Il Giornale, un po’ meravigliandosene, riferendo della strage compiuta a Mosca dall’Isis in un teatro e inutilmente segnalata nei giorni scorsi da americani e inglesi, quando veniva preparata dal fantomatico Stato islamico, ad un Putin troppo distratto dalle sue finte elezioni per l’avvio di un suo per niente finto quinto mandato presidenziale al Cremlino. Dove il l’autocrate si sentiva e  si sente ancora, assediato solo o prevalentemente dagli occidentali in genere o dagli ucraini in particolare, non ancora “denazificati”, secondo le sue promesse, o liberati dai costumi troppo licenziosi dell’Occidente, secondo il maledicente Patriarca di Mosca.

Fra le macerie di Gaza

         Chiedo ad Alessandro Sallusti e agli alri sorpresi dalla strage di Mosca, dalla sessantina di morti già accertati nel teatro devastato dal fuoco e dalle centinaia di feriti non tutti destinati purtroppo a salvarsi, dove e quando il terrorismo si era preso la sua pausa, le sue ferie. Chiedo se non è terrorismo anche quello che Hamas ha praticato il 7 ottobre scorso irrompendo in territorio israeliano e continua a praticare nei tunnel di Gaza continuando a sparare missili contro gli ebrei fra le macerie alle quali è stata ridotta quella striscia di terra. Dove la popolazione civile, le scuole, gli ospedali, le chiese, i campi profughi sono stati e sono tuttora usati come scudi da terroristi scambiati per partigiani della Palestina e presentati come vittime di un genocidio su tutte le piazze del mondo, in un rivoltante rovesciamento della realtà.  

Dal Fatto Quotidiano

         Proprio mentre a Mosca il terrorismo islamico si riprendeva la scena e le prime pagine dei giornali del mondo, Marco Travaglio scriveva il suo editoriale di giornata su Fatto Quotidiano, come il mattinale di una Questura internazionale, contro “i pazzi da spazzare”, testuale, che avrebbero appena concluso a Bruxelles il loro “Consiglio europeo di guerra”. Esso si sarebbe permesso di mettersi e di mettere sull’avviso per difendere ciò che resta del vecchio continente da ciò che ha in testa Putin.

Giorgia Meloni a Bruxelles

         Solidale con questa lettura alla rovescia , un po’ come nel mondo per altri versi visto e raccontato dal generale Roberto Vannacci di  non si sa ancora quale destinazione politica nelle elezioni europee del 9 giugno,  è stata l’Unità di Antonio Gramsci restituita dall’editore Alfredo Romeo al mio amico Piero Sansonetti, Che vi sta trascorrendo, dirigendola, la sua-beata lui- seconda giovinezza di lotta, illusioni, sogni e quant’altro, stavolta contro Giorgia Meloni reduce proprio da Bruxelles.

Dall’unità Screenshot

         “Consiglio Europeo?” si è chiesto il giornale di Piero in nero rigoroso. “No: Consiglio di guerra”, si è risposto in rosso altrettanto rigoroso per concludere, tornando al nero: “L’Europa non c’è più”. E invece, caro Piero, l’Europa c’è ancora. E speriamo che non faccia la fine che vorrebbero riservarle i cultori e complici  dei vari terrorismi attivi nel mondo, che vivono solo dell’uso che ne fanno gli avvoltoi di turno.

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