Altro che aprire. Giuseppe Conte alza ancora la posta con la Meloni

Da Repubblica

Intervistato a Cagliari da Stefano Cappellini, di Repubblica, prima di salire sul palco per sostenere la corsa della candidata grillina alla presidenza della regione Sardegna con l’appoggio del Pd, Giuseppe Conte ha chiesto ad Elly Schelin “un patto serio” per continuare a marciare insieme, non  essedo evidentemente serio, o comunque sufficiente, tutto ciò che la segretaria del Nazareno ha fatto sinora, anche a costo di procurarsi crescenti malumori nel partito.

         Anche sul consenso che la segetaria del Pd è riuscita a strappare alla premier Giorgia Meloni, assicurandosene l’astensione ad una mozione parlamentare che ha che chiesto di cessare il fuoco a Isarele piuttosto che ad Hamas nella guerra di Gaza provocata dal podrom del 7 ottobre, Giuseppe Conte ha avuto da ridire.

Conte a Repubblica

         Ridotta ad una “furbizia” l’astensione praticata dalla premier alla Camera, e rimproverato al ministro degli Esteri Antonio Tajani i di avere aspettato 30  mila morti a Gaza per definire “sproporzionata” la reazione tsraeliana al pogrom del 7 ottobre, come se  i ventimila  morti si fossero  potuti accettare, Conte ha detto. “Meloni on ha ancora alzato il telefono per dire a Netanyau: ora basta. Lo ha fatto Macron, lo ha fatto Biden, cosa aspetta Meloni? O bisogna pensare che sia frenata da qualche simpatia ideologica con pezzi del governo israeliano che sono fanatici di estrema destra?”.

         Pensate un po’ cosa riuscirà a drie l’ex presidente del Consiglio quando sentir di una delegazione del partito conservatore europeo della Meoni in visita o Israeele per incontrare Netanyau, consultarsi con lui e non  insultarlo.

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Ma Borrelli che cosa rimproverava davvero o di più a Craxi ?

Dal Corriere della Sera di ieri

In una lunga intervista al quasi centenario Rino Formica raccolta per il Corriere della Sera da Aldo Cazzullo- in coincidenza con i 32 anni trascorsi dal 17 febbraio 1992, quando Tangentopoli esplose con l’arresto di Mario Chiesa mentre si faceva pagare dai  fornitori dei servivi di pulizie del Pio Alberto Trivulzio che presiedeva, c’’è la convinzione che  l’allora capo della Procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli volesse diventare capo dello Stato. Una convinzione, o sensazione, come preferite, che avendo peraltro ispirato il titolo dell’intervista potrebbe dare -temo- una lettura sbagliata di tutta quella vicenda giudiziaria nota come “Mani pulite”. che ancora produce i suoi effetti sulla politica italiana per il perdurante squilibrio nei rapporti fra la politica e la giustizia.

Da Libero

         L’Impressione del Quirinale nelle ambizioni di Borelli potrebbe eccitare la fantasia del lettore anche in considerazione delle “informazioni -racconta Formica a Cazzullo a proposito del “poker d’assi” dallo stesso Formica attribuito a Craxi ai margini di una riunione di partito di quei tenpi- che i servizi e la polizia avevano fornito ad Amato, che era presidente del Consiglio” segnalando “il traffico telefonico del pool” di magistrati. Alcuni dei quali erano convinti di poter rivoltare l’Italia come un calzino senza bisogno di aspettare che lo facessero gli elettori, evidentemente troppo disinformati per muoversi in una simile direzione rivoluzionaria.

Rino Formica

         “I servizi -racconta Formica, ormai cieco ma di una memoria diretta o indiretta acutissima- hanno come compito controllare tutto quello che avviene attorno al potere. Anche Mussolini era intercettato. I servizi ascoltavano le sue conversazioni con la Petacci. Certo, il confine fra la tutela delle istituzioni e l’intrigo è sottile. Dipende dall’uso che se ne fa”.

Formica ieri al Corriere

         E che cosa avevano scoperto i servizi? chiede giustamente incuriosto Cazzullo. “Che un po’ tutti i magistrati del pool -risponde Fornica- non erano stinchi di santo. Non solo Di Pietro. Ognuno aveva il suo corrispondente esterno: politico, religioso, internazionale. E ognuno aveva la sua ambizione: chi voleva fare il presidente del Consiglio, chi il presidente della Repubblica”, come appunto un Borrelli che “appare in Tv -ricorda Formica- e dà ordini al Parlamento”, così “agendo come un aspirante capo dello Stato”.

         Di altre sortite politiche, o simili, di Borrelli ne ricodo una nella quale avvertì che, “se chiamato”, lui o altri magistrati avrebbero potuto anche servire il Paese senza portarsi addosso la toga. Il che lasciava prevedere, in verità, una chiamata più a Palazzo Chigi o dintorni che al Quirinale, dove per essere chiamati bisognava aspettare che il presidente della Repubblica in carica scadesse o si dimettesse e il Parlamento in seduta comune, con i rinforzi dei visibili delegati regionali e dell’invisibile Spirito Santo,, se non  contemporaneamente impegnato in un Conclave per un nuovo Papa, non si mettessero a votare per un esterno avvertito come necessario, e non solo come disponibile.

Adolfo Beria di Argentine

         Per quel che io ricordo di quegli anni, anzi di quei tempi, risalendo indietro di qualche mese rispetto all’arresto di Mario Chiesa, di Borelli conoscevo l’aspirazione ad essere semplicemente promosso da capo della Procura della Repubblica a capo della Procura Generale della Corte d’Appello, dove era già arrivato il padre lasciando un buon ricordo che il figlio evidentemente desiderava replicare. Ma quando giunse l’occasione, col pensionamento del mitico Adolfo Beria di Argentine, pur tempestivo nella presentazione della domanda e nella ricerca discreta degli appoggi; pur sentito già una volta dalla competente commissione selezionatrice del Consiglio Superiore della Magistratura, dove forse aveva avvertito qualche attenzione positiva nei suoi confronti, Borrelli ebbe qualche sgradita sorpresa.

Guido Catelani

         Egli seppe, per esempio, della presentazione in extremis, o fuori tempo massimo, della domanda di patecipazione al concorso a Prouratore generale della Corte d’Appello ambrosiano di Giulio Catelani, che gli fu preferito. E al cui insediamento, data l’importanza del distretto giudiziario di Milano, volle partecipare personalmente il presidente del Consiglio in carica Giulio Andreotti.  

Bettino Craxi

         Borrelli ci rimase comprensibilmente male. Ancora peggio quando gli raccontarono, francamente non so se prima o dopo l’insediamento di Catelani, destinato comunque a vivere a Milano un’esperienza a dir poco tormentata e chiusa precocemente, che a metterci lo zampino in quella nomina era stato Bettino Craxi in persona spiazzando i socialsti del posto che non erano per niente contrari alla promozione del capo della Procura di primo grado.

Giulio Andreotti

         Era accaduto, in particolare, ,che alla vigilia delle decisioni del Consiglio Superiore della Magistratura sui vertici giudiziari di Milano Andreotti invitò il leader socialista a un colloquio privato. Durante il quale gli fece presente che Borrelli, poco più che sessantenne, non solo sarebbe passato dal primo al secondo grado della Procura della Repubblica ma vi sarebbe rimasto a lungo derogando, sotto il primo e sotto il secondo aspetto della questione, ad abitudini diverse nell’ambiente giudiziario. Esse sarebbero tornate normali spostando Catelani da Firenze a Milano. Il discorso parve ragionevole a Bettino, che lo condivise.  

Claudio Martelli

         Non ho mai avuto occasione di parlare di questo passaggio con Claudio Martelli, che era allora il ministro della Giustizia. Un suo intervento certo aiuterebbe a fare chiarezza. So tuttavia che la mancata nomina di Francesco Saverio Borrelli alla Procura Generale della Corte d’Appello in quella occasione, sopraggiunta invece in un’altra rimasta celebre col suo triplice appello alla “resistenza” ad un potere, un sistema chiamatelo come volete, nel frattempo passato nelle mani di Silvio Berlusconi, contribuì quanto meno a creare a Milano negli anni Novanta un clima giudiziario assai difficile, quanto meno, per i socialisti. Un clima poi diffusosi un po’ dappertutto in Italia.

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