Le spallucce degli israeliani alle distanze prese dalla coppia Meloni-Schlein

Dalla prima pagina del Foglio

Sterminator, come Il Fatto Quotidiano chiama il premier israeliano Benjamin Nethyanau piuttosto che prendersela con gli sterminatori di professione che sono i terroristi di Hamas del pogrom del 7 ottobre e delle prevedibili reazioni, ha indotto l’ambasciatore in Vaticano ad attenuare la polemica col Segretario di Stato, il cardinale Parolin, facendogli definire “sfortunate” e non più “deplorevoli” le parole pronunciate contro le azoni militari in corso a Gaza. Forse Sterminator, ripeto, ha voluto attenuare quello che Il Foglio ha definito “il grande freddo tra cristiani ed abrei”, mai “così in crisi da decenni”.

Dal Secolo XIX

         Tuttavia non cambia la risposta israeliana sul terreno, come dimostra l’attacco sferrato all’ospedale di Gaza che i medici considerano “l’inferno” più per il fuoco degli israeliani che per l’uso che ne è stato consentito come rifugio di terroristi per depositarvi gli ostaggi rapiti in Israele il 7 ottobre o far partire dai loro sotterranei alti razzi contro gli ebrei che si ostinano a vivere fra la Cisgiordania e il mare.

         Non cambia la risposta israeliana neppure di fronte alle insofferenze e proteste degli americani. Figuriamoci di fronte a quelle che in Italia, pur di portare avanti il suo confronto privilegiato con la segretaria del Pd per offuscare la concorrenza che le fa Giuseppe Conte, la premier Meloni ha deciso di condividere. E non solo di “comprendere”, come la buonanima di Aldo Moro ai tempi della guerra del Vietnam diceva a Palazzo Chigi a proposito dei bombardamnti americani sul Nord e sui tunnel che vi costruivano  i vietcong per penetrare meglio nel Sud. Come in fondo fanno quelli di Hamas a Gaza.

Dalla Stampa

         Deòl’ostinazione tanto di Hamas quanto degli israeliani nel comtrastarne l’azione non credo che si stia sorpendedo a Roma Giorgia Melomi, troppo politica -come ha voluto definirsi visitando una mostra su Enrico Berlinguer e firmandone il registro- per non conoscere i limiti dell’operazione tattica compiuta a Montecitorio con l‘astensione sul documento del Pd di sostanziale aiuto ad Hamas. Ma forse la premier sta trovando superiori alle previsioni le distanze che hanno deciso di prendere da lei anche su questo gli alleati leghisti.: pure quelli d tendenza, diciamo così, non proprio salviniana. Come il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. Che le ha praticamente chiesto alla Meloni fra dichiarazioni e interviste: “Vogliamo che Gaza continui a essere un avamposto del terrorismo dove scuole, ospedali e sedi delle agenzie Onu vengono usati come basi del terrore?”. “Quello del 7 ottobre è stato un massacro”, ha ricordato Fedriga parlando di ciò da cui tutto è cominciato in questa ennesima guerra in Medio Oriente.  

Lo strappo della Meloni su Gaza rompe il campo mediatico del governo

Dal Dubbio

Quello della politica estera è stato, almeno fino all’altro ieri, il terreno più fortunato o meglio riuscito di Gorgia Meloni alla guida del suo primo governo. Eppure era il più difficile anche per la campagna orchestrata contro di lei prima e dopo la prevista, anzi scontata vittoria elettorale nel 2022. Campagna riempita peraltro di significati o cattivi auspici per la coincidenza col centenario della marcia fascista su Roma. Che si svolse fra l’indifferenza, la paura o persino la complicità di una Monarchia che poi l’avrebbe pagata carissima. Questa volta al Quirinale c’era e c’è un presidente della Repubblica che avrebbe potuto impressionarsi davanti alla campagna di stampa, e culturale, orchestrata contro la Meloni, ma non ha esitato un istante a tradurre il risultato elettorale come poteva e doveva. E ha anche supportato poi ila premier in qualche passaggio difficile, smentendo retroscena e simili di segno opposto.

Tra le rovine di Gaza

         Temo più per tattica che strategia, più per la soddisfazione, sotto sotto, di vedere primeggiare all’opposizione la collega di genere Elly Schlein, con la quale non a caso sta preparando un duello televisivo in diretta, che Giuseppe Conte, di fatto il più irriguardoso possibile nei suoi riguardi ogni volta che ne ha l’occasione verbale e persino fisica, con certi atteggiamenti leninisti nell’aula di Montecitorio, dove finalmente ha un seggio di elezione e non d’ufficio, come quando era presidente del Consiglio ma non parlamentare; temo, dicevo, che più per tattica che per strategia, la Meloni abbia forse scoperto un po’ troppo il fianco, almeno per i miei gusti, sul fronte mediorientale. Dove ha preteso la richiesta del rilascio degli ostaggi di Hamas per far passare con l’astensione della maggioranza il documento del Pd per la rinuncia di Israele al fuoco contro Gaza, ma ha finito per far pendere la blilancia dell’impressione, più che dell’opinione pubblica, maggiormente contro Israele per la potenza di foco e di morte impiegata nella rappresaglia contro il pogrom del 7 ottobre,.Come se i terroristi di Hamas, nonostante la decimazione della popolazione che ritengono di difendere e rappresentare, non avessero rinunciato in questi mesi d guerra, che pure dovevano avere messo nel conto della loro aggressione, a usare quella povera gente, le loro case, le loro scuole, i loro ospedali, i loro campi profughi, le loro chiese e persino certi uffici delle Nazioni Unite come scudi, per proteggere nei sotterranei i loro arsenali militari.

         Le esigenze tattiche alle quali credo abbia ceduto Meloni con la votazione sul documento parlamentare del Pd a Montecitorio non hanno incrinato il suo fronte parlamentare. Ma ha letteralmente spaccato il suo fronte mediatico, diciamo così. Che si è diviso fra Il Giornale di Alessandro Sallusti, che ha coperto la premier  sino a scrivere che nulla è cambiato rispetto a prima, e il quotidiano Libero, dello stesso editore, che ha dissentito con un editoriale scritto personalmente, con la solita franchezza dal direttore Mario Sechi. Che pure è stato per qualche mese capo dell’ufficio stampa della premier, come ancora gli rimproverano nei salotti televisivi dei quali è ospite. Un Sechi pungente e filoisraeliano quanto Giuliano Ferrara sul Foglio, del quale non a caso è stato a suo tempo un collaboratore.

Pubblicato sul Dubbio

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