La Meloni scampa anche alla pistola del “suo” Emanuele Pozzolo

   Alla vigilia ormai, e davvero, della conferenza stampa di ex fine anno rinviata per l’otolite seguita ad un’influenza, si può ben prevedere che a Gorgia Meloni non torneranno le vertigini per l’incidente di Capodanno occorso al suo imprudente deputato Emanuele Pozzo. Che è finito su tutti i giornali come un “pistolero” simbolo del proprio partito per quel mini revolver da cui è partito un colpo a sua presunta insaputa, ospite in un veglione dell’amico sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Forse senza neppure i brividi immaginati dal vignettista di ItaliaOggi, la premier è scampata anche a questo fuoco amico, diciamo così. L’unico ferito, per fortuna lieve, è rimasto il genero di un agente della scorta di Delmastro.

         Per quanto si potrà cercare di sfruttare il poco commendevole caso, obiettivamente aggravato dalla pretesa  del deputato della destra di reclamare quel che resta dell’immunità parlamentare per proteggersi dagli esami balistici nelle indagini per lesioni aggravate, la Meloni uscirà indenne dall’incontro con i giornalisti. Anche nei  tentativi scontati di metterla contro il vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini per l’affare giudiziario Anas-Verdini, e forse pure per la reazione “sovranista” dello stesso Salvini ai rilevi europeisti del capo dello Stato a norme pur promulgate a favore di balneari e ambulanti.

         Altre mine sulla strada della conferenza stampa sono state, volontariamente o no, rimosse dallo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo messaggio di Capodanno ignorando, e praticamente declassando, il pasticcio politico della mancata ratifica parlamentare del trattato sul Mes, o fondo salva-Stati, e le diverse valutazioni emerse nella maggioranza anche sul nuovo patto europeo di stabilità.

         Il politologo Piero Ignazi non dovrà ritrattare su  Domani la valutazione espressa ieri sul governo Meloni. “Che -ha scritto- potrebbe navigare in acque tranquille” perché “gli avversari sono troppo deboli, divisi e confusi”.

         Né Nando Pagnoncelli dovrà sentire il bisogno di anticipare il prossimo sondaggio di Ipsos – neanche a Mattarella, del resto, piace molto questa pratica- per verificare di quanto potrebbe risultare superato o contraddetto quello del 14 dicembre appena illustrato sul Corriere della Sera. Che assegnava al partito della Meloni il 29,3 per cento delle intenzioni di voto contro il 26 conquistato nelle elezioni del 2022. La Lega risultava scesa dall’8,8 all’8 e Forza Italia dall’8,1 al 6,8. Sul fronte delle opposizioni il Pd della Schlein risultava sceso al 19 dal 19,1 conseguito quasi un anno e mezzo fa  da Enrico Letta, il Movimento 5 Stelle salito sì con Giuseppe Conte dal 15,4 al 17,2 ma restando sempre sotto il Pd. Che l’ex premier grillino vorrebbe invece sorpassare per riuscire davvero, e non solo aspirare a condurre il gioco nell’ambiziosa, improbabile prospettiva dell’alternativa. Buon anno a tutti i concorrenti. E che Iddio ce la mandi buona.

Ripreso da http://www.policymakermag.it

L’ispirazione kennediana del messaggio di Mattarella agli italiani

L’ho visto e ascoltato. Incredulo di non avere mai udito citare l’Europa nel discorso di fine anno, evidentemente non abbastanza concentrato, sono andato sul sito del Quirinale e l’ho letto e riletto. E mi sono rasserenato.

Dell’Europa il presidente della Repubblica ha parlato in un solo ma significativo passaggio del suo discorso, a proposito della guerra in Ucraina che si combatte da quasi due anni “nel cuore” appunto del vecchio continente. Come per dire scandalosamente: a casa nostra.

 Già in questa concezione simbiotica dell’Europa c’è tutto il vecchio, consolidato, rinfrancante europeismo di Mattarella. Altro che il sovranismo duro a morire anche in chi mostra ogni tanto di esserselo buttato alle spalle con l’acquisita esperienza di governo. Non parliamo poi del sovranismo ancora praticato o dichiarato orgogliosamente da altri: non solo nell’Ungheria di Orban ma anche in Italia, dove è di pochi giorni fa lo spettacolo a dir poco paradossale di una maggioranza partecipe, sia pure in vario modo, fra voto contrario e astensione, della mancata ratifica del trattato del Mes, o fondo salva-Stati. E in parte dissidente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella valutazione positiva del nuovo patto europeo di stabilità, con regole, parametri e quant’altro meno rigide o “stupide” di quanto a suo tempo le avesse definite l’insospettabile Romano Prodi, che presiedeva la Commissione esecutiva di Bruxelles.

Qualcuno forse si aspettava, o addirittura aveva auspicato, che Mattarella cogliesse l’occasione del messaggio televisivo di fine anno a reti unificate per lamentare o solo alludere a questo controverso passaggio di politica interna, magari cercando di metterci una pezza come altre volte gli è capitato di fare dal Quirinale per superare equivoci o ricomporre fratture. Stavolta invece il presidente della Repubblica ha voluto astenersi, non so francamente se per avere considerato esagerate le polemiche trasversali alla maggioranza e alle opposizioni o per non invadere il terreno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Che potrà parlarne, spontaneamente o in risposta a qualche domanda, nella conferenza stampa di ormai ex fine anno, rinviata per le sue note ragioni di salute, fisica davvero e non politica.

D’altronde, oppresso dalle guerre che ci circondano e dalla violenza che le anima,  ed ha finito per diventare “cultura” anche nella nostra società, questo messaggio augurale di Mattarella è stato -per quanto ricordi- il più distaccato dalle vicende, e tanto meno beghe della politica interna. Il Presidente ha volato più alto del solito, di stampo quasi kennediano quando ha chiesto, per esempio, maggiore “partecipazione attiva alla vita civile”. Come se avesse voluto ripetere con l’indimenticabile Jhon Fitzgerald Kennedy, appunto: “Non chiedete che cosa può fare il vostro paese per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro paese”.

“Partecipazione attiva” -è tornato ad ammonire Mattarella pensando al galoppante astensionismo- “a partire dall’esercizio del diritto di voto per definire la strada da percorrere”. Un “voto libero -ha insistito- che decide”. E che quindi non può esaurirsi nel “rispondere a un sondaggio, o stare sui social”.

Anche a costo di sembrarvi troppo malizioso e di finire fra quelli che ho sempre criticato per la mania di tirare la giacca al presidente di turno della Repubblica, quel richiamo al “voto libero che decide” davvero, senza rendere la politica prigioniera del sondaggismo cresciuto a dismisura nella cosiddetta seconda Repubblica, ma anche prima, sino ad alimentare e determinare la famosa “discesa in campo politico” di Silvio Berlusconi mentre la magistratura decapitava i partiti tradizionali, o scavava loro la fossa; quel “voto libero che decide” davvero -dicevo- potrebbe essere incoraggiato dal pur tanto criticato o disprezzato premierato. Che è stato proposto dal governo con una riforma costituzionale finalizzata all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Con quel voto si potrà anche disporre l’assegnazione della guida del governo, senza necessariamente ridurre le funzioni del Capo dello Stato -come temono anche fior di costituzionalisti in parrucca o aspiranti riserve della Repubblica- a quelle di un notato o di un soprammobile.

Pubblicato sul Dubbio

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