La diabolica capacità della cronaca di spiazzare attori e spettatori

Senza scomodare la Storia, con la maiuscola, com’è curiosa, imprevedibile, capricciosa la cronaca, con la minuscola, che ci mette alla prova ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, nella rapidità che l’informazione ormai ci consente, ponendoci un po’ in diretta con gli eventi senza neppure uscire da casa, liberamente o costrettivi per qualsiasi ragione.

         Nella Germania appena apertasi alla nostra attenzione con la consolante cattura del disumano omicida della ex fidanzata Giulia, responsabile solo di non volere essere sua come un oggetto, abbiamo risolto anche il conflitto creatosi almeno in quella parte di noi che -magari ingenuamente agli occhi dei sapientoni- si erano trovati in difficoltà a seguire la partita di calcio fra un’Italia aspirante a difendere il suo titolo di campione nei campionati europei dell’anno prossimo e un’Ucraina impegnata col nostro sostegno politico e militare nella drammatica guerra  scatenata dalla Russia di Putin.

         Il risultato della partita a Leverkusen ha messo almeno noi italiani convinti del sostegno- ripeto-  politico e  armato agli ucraini in pace con i propri sentimenti sportivi perché a porte inviolate abbiamo guadagnato la difesa del nostro titolo senza procurare una sconfitta alla squadra trovatasi in competizione con la nostra nazionale.

         Guardate invece, anche con l’aiuto del vignettista del Corriere della Sera Emilio Giannelli, che cosa è successo a Papa Francesco, l’argentino e oriundo italiano Jorge Mario Bergoglio. Al quale Giannelli, appunto, sapendolo sospettato di simpatie a sinistra, diciamo così, ha fatto commentare così l’elezione del destrissimo, trumpiano Javier Milei a presidente dell’Argentina: “Ucraina, Israele, popolo palestinese….Mi sono dimenticato di pregare per la mia Argentina!”. Mia, peraltro, come la chiamava anche la celebratissima Evita Peron ispirando un film e una colonna sonora indimenticabili.   

         Non meno spiazzante, almeno per i politicamente interessati profeti di sventura di un’Italia irreparabilmente destinata all’isolamento in Europa, è la cronaca- trovata peraltro in evidenza sulla prima pagina dell’insospettabile Repubblica, una specie di nave ammiraglia della flotta antigovernativa- di “un accordo con la Germania su migranti e Difesa” contestuale alle modifiche al cosiddetto patto di stabilità europeo e alla ratifica italiana del tanto a lungo contestato Mes. Che non è naturalmente una marca di sigarette, né tradizionali né elettroniche, ma l’acronimo del “Meccanismo europeo di stabilità”, noto anche come fondo salva-Stati.  

Destra e sinistra riescono a litigare anche sulla orrenda fine di Giulia

Per quanto bipartisan, condotto cioè da entrambe le parti, sinistra e destra o viceversa, l’una attaccando e l’altra ricambiando, lo sciacallaggio politico e la sua appendice mediatica della tragica fine di Giulia Cecchettin è stato, anzi è di uno squallore certamente prevedibile ma non per questo accettabile.

         Chi abbia cominciato per prima è difficile dire. Forse la sinistra cavalcando anche certe reazioni internettiane della sorella, Elena, della giovane assassinata da quell’aguzzino che alla fine si è rivelato il fidanzato Filippo Turetta. La congiunta, in particolare, facendo per me un pò di confusione fra potere, al minuscolo, e Stato, con la maiuscola, ha definito l’assassinio di Giulia un omicidio di un potere, appunto, ancora patriarcale nella concezione dei rapporti sociali, affettivi e familiari e quindi di uno Stato rivelatosi incapace di prevenire, educare e quant’altro.

         La ciliegina sulla torta già intossicata, volente o nolente, con questo tipo di ragionamento ce l’ha messa il giornale debenedettiano della radicalità –Domani- scrivendo in fondo ad un titolo ispirato ad una frase di Elena Cecchettin –“Se tocca a me voglio essere l’ultima”- che delle leggi necessarie “per educare alla libertà e all’affettività la destra ha paura”. Una destra -si deve dedurre- ancora attaccata alla già ricordata concezione patriarcale della società e della famiglia, da cui deriva la riduzione della donna a persona posseduta dall’uomo sino a diventarne vittima nel senso anche sanguinario della parola.

         La destra peraltro oggi guidata da una donna anche alla testa del governo- una giovane francamente difficile, con la sua storia personale, da immaginare come partecipe convinta di una simile concezione dei rapporti umani- non è rimasta naturalmente silenziosa o passiva davanti a questa rappresentazione di se stessa.  Ma, ahimè, è scesa al livello della sinistra -o pseudosinistra- d’attacco pregiudiziale, antipatica –direbbe Luca Ricolfi- nel rivendicare superiorità morale ed educativa anche in questo, Vi è scesa rivendicando il merito dei femminicidi diminuiti, rispetto al passato, nel 2023 contrassegnato dal governo  della Meloni. Un 2023 peraltro non ancora finito -vorrei ricordare al Giornale, che se n’è vantato- e perciò capace ancora di riservare brutte sorprese anche a questo modo di misurare, calcolare e quant’altro meriti e demeriti di una parte politica o dell’altra. Come si fa del resto in tema di migranti approdati sulle coste italiane.

Piuttosto che proseguire su questa strada oscena della strumentalizzazione o dello sciacallaggio di turno, sarebbe ora che almeno di fronte a certi fenomeni drammatici come il femminicidio la politica scoprisse il dovere o quanto meno il buon gusto di non dividersi e di esercitare in positivo la pratica bipartisan. Cioè affrontando unitariamente e solidarmente quella che è ormai diventata un’autentica emergenza, senza sgambettarsi e intestarsi da soli successi più o meno effimeri.

Pubblicato sul Dubbio

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