Miracolo di Conte alla Camera, dove scatena l’ira di Antonio Tajani

         Siparietto o siparione, come preferite, nell’aula della Camera. Dove Giuseppe Conte, smanioso forse di liberarsi dell’immagine appena applicatagli da Beppe Grillo di uomo che parla molto e si fa capire poco, ha dato del “codardo”  al governo Meloni per l’astensione del delegato italiano all’Onu sulla mozione per una tregua umanitaria a Gaza. Che fu chiesta peraltro nel momento in cui faceva più comodo ad Hamas per riorganizzarsi nei sotterranei degli ospedali, delle case, delle scuole, dei campi profughi palestinesi per proseguire la sua attività terroristica contro gli ebrei.

         Il solitamente calmo, pacioso ministro degli Esteri Antonio Tajani, ora anche segretario di Forza Italia ancora presieduta da morto da Silvio Berlusconi, ha tirato fuori non le unghie di un gatto ma una zampa da leone e, a costo di spezzarli fra le mani, ha sventolato contro Conte i suoi occhiali gridando tutta la sua indignazione. E obbligandolo poi ad un nuovo intervento in cui l’ex premier e capo ora di ciò che rimane del MoVimento 5 Stelle ha cercato di distinguere il carattere generale da quello personale della sua accusa di vigliaccheria. E così egli è tornato al clichè grillino di chi parla molto e si fa capire poco, come un politico di professione nella immaginazione del comico ancora garante, e consulente a pagamento, del quasi partito che contende al Pd la guida delle opposizioni e della futuribile alternativa al centrodestra, o destra-centro. Dimenticando peraltro che l’Italia all’Onu si è trovata nell’occasione denunciata alla Camera in compagnia, fra gli altri, degli inglesi. Cioè, in abbastanza buona compagnia.  

         Sono così finite nel cestino le fotografie, del resto poche, di Conte e Tajani in armoniose strette di mano, se non solidarietà vere e proprie. E Dio solo sa quanto in questa lunga vigilia congressuale di Forza Italia il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri abbia bisogno di apparire ed essere non un gattone ingrassato, o il “coniglio mannaro” che ogni tanto veniva dato  al mio amico Arnaldo Forlani, ma un leone davvero fuggito dal circo di Ladispoli e non ripreso. Anche su questo hanno tenuto da ridire al Fatto Quotidiano lamentando il silenzio distratto, o complice con Tajani, dei deputati del Pd nel più o meno epico scontro a Montecitorio fra Conte e il governo.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Ciò che resta dietro lo sciopero di domani di Cgil e Uil contro il governo

         Si è ripetuto anche nella vicenda dello sciopero generale di domani della Cgil e della Uil, limitato a 4 ore nel settore dei trasporti per la contestazione dell’Autorità di garanzia presieduta da Paola Bellocchi e la precettazione predisposta dal ministro delle Infrastrutture e vice presidente del Consiglio, il solito copione delle opposizioni mediatiche e politiche. La rappresentazione cioè di Matteo Salvini, questa volta, o altre volte di Antonio Tajani, l’altro vice presidente del Consiglio, che spiazza e infastidisce la premier per fame di visibilità e spazio politico in una maggioranza dove le distanze fra il partito della Meloni e gli alleati non si accorciano ma si allungano. E senza, peraltro, che le opposizioni riescano in qualche modo a inserirsi per trarre qualche vantaggio indebolendo il governo osteggiato anche sindacalmente per la sua legge di bilancio, o manovra.  

         Il copione si è ripetuto nel racconto non solo di una premier assediata o scavalcata dal leader leghista, ma anche di un presidente della Repubblica sorpreso di assistere, al rientro da un suo viaggio all’estero, ad una tensione politica generale troppo forte, almeno per i suoi gusti. E quindi insofferente al Quirinale, tra richiami all’ordine o alla calma dietro le quinte di un silenzio ufficiale..

         Sono poi arrivate, come sempre, prima le smentite dai soliti ambienti bene informati del Quirinale, registrate con gli altrettanto soliti dubbi dai giornali più accaniti -nel nostro caso la Repubblica– e poi la falcata vocale della premier Meloni. Che, uscita da Palazzo Chigi per uno dei suoi tanti appuntamenti all’esterno e -se mi si permette questa osservazione- un po’ più stanca del solito, persino invecchiata, ha tenuto a riconoscersi nella precettazione dei lavoratori del trasporto pubblico predisposta non certo a sua insaputa dal ministro Salvini. Che nel frattempo era stato insultato da Maurizio Landini, il capo della Cgil, come un prevaricatore e provocatore, arrivato dov’è dopo non avere mai lavorato. Lo diceva, in verità, anche la buonanima di Silvio Berlusconi di qualcuno, persino fra i suoi, che gli creava problemi o cadeva dal piedistallo dove lui lo aveva troppo generosamente innalzato.

         Meloni ha tuttavia assicurato Landini e compagni, memore dell’ospitalità ricevuta all’ultimo congresso della Cgil, di non avere intenzione di allungare la sua lista delle riforme includendovi anche la disciplina dello sciopero nei servizi pubblici. Ma la premier potrebbe trovarsi prima o poi scavalcata davvero, questa volta,  dall’Autorità competente.  La cui presidente non ha lasciato solo Salvini a notare la propensione di certi sindacati a organizzare e proclamare scioperi di venerdì, costruendovi sopra ponti di ben più facile realizzazione di quello contestato anch’esso al governo e progettato sullo stretto di Messina. “Ci proponiamo -ha detto Bellocchi- una riflessione anche su questo perché in effetti la maggior parte delle proteste è prima del fine settimana”.

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