Sopra, ma ancor più sotto la realtà tragica del Medio Oriente

E’ diritto e/o dovere di cronaca, per carità, lo spettacolo quotidianamente offerto da giornali e televisioni delle macerie di Gaza e delle colonne di palestinesi in fuga da quelle che erano una volta le loro case, le loro scuole, le loro chiese, i loro ospedali, le loro piazze, i loro vicoli. Lo è meno, sia come diritto sia come dovere, collegare negativamente queste immagini agli israeliani che, salvo qualche pausa umanitaria di ore, non rinunciano a proseguire nelle loro operazioni militari. E farne quindi un motivo, una ragione in più per contestare la linea di difesa dello Stato ebraico dopo il pogrom del 7 ottobre scorso, poco più di un mese fa, costato la vita in terra israeliana a 1400 fra uomini, donne e bambini decapitati nelle culle, o falcidiati con i genitori che cercavano di proteggerli. E la libertà a centinaia di persone che sono diventate fra le mani dei terroristi di Hamas ostaggi come le centinaia di migliaia di palestinesi sotto le cui case sono stati per anni costruiti batterie di missili puntati contro Israele, depositi di altre armi e munizioni, comandi operativi eccetera.

         Collegare macerie e povera gente in fuga solo a Israele, le sue truppe, i loro comandanti, il suo governo e i suoi alleati, e costruirci sopra manifestazioni di piazza per equiparare la stella di David alla svastica nazista o appelli pacifisti nominalmente al di sopra delle parti significa -come ha giustamente scritto sul Foglio Giuliano Ferrara- finire “al di sotto della realtà”. Dove d’altronde si erano già messi al sicuro negli anni scorsi i dichiarati odiatori degli ebrei trasformando le viscere di Gaza -ripeto- in arsenali e rimanendovi ostinatamente, e per niente inoperosi, anche dopo che a causa della loro presenza si è cominciato a distruggere la parte visibile della sfortunatissima Gaza. Che fu sgomberata a suo tempo dagli israeliani, caccciando via con la forza anche i cosiddetti coloni, perché i palestinesi vi potessero vivere in pace. Una pace purtroppo violata per primi da quanti disonestamente e cinicamente si propongono loro difensori e protettori, o “liberatori”, come li ha definiti con non minore disonestà e cinismo il presidente Erdogan, incredibilmente ancora partecipe dell’Alleanza Atlantica, di fronte al Parlamento turco. Dove non risulta si sia levata alcuna voce di dissenso.

         C’è una sola cosa forse peggiore di questo spettacolo. E’ lo scenario al quale sta lavorando con tanta costanza -anch’essa al di sotto della realtà, verrebbe voglia di scrivere-  il Segretario di Stato americano Antony Blinken nei suoi viaggi da una parte all’altra del Medio Oriente : una Gaza ricostruita, e augurabilmente sgomberata anche nei sotterranei, affidata al quasi novantenne e abbastanza già screditato presidente della cosiddetta Autorità Palestinese Abu Mazen, o di ciò che ne rimane.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il giornalismo curiosamente “tradito” da Giorgia Meloni

Dei 47 anni che compirà il 15 gennaio prossimo, Gorgia Meloni potrà vantarsi di averne trascorsi più di 30 in politica, ispirata nel 1992 anche dalla tragica morte di Paolo Borsellino a iscriversi al fronte della gioventù dell’allora Movimento Sociale, e 18 in Parlamento. Dove si è alternata tra funzioni di maggioranza, sino a guidare quella in corso da premier, e di opposizione.

Pur superata da Gianfranco Fini alla presidenza della Camera, di cui lei è stata solo vice presidente, la Meloni l’ha surclassato su tutto il resto, anche nella vita privata, essendo appena stata con il convivente, e padre di sua figlia, molto più reattiva, diciamo così, dell’ex leader della destra. Che è letteralmente scivolato su un affare di famiglia come si rivelò quello della famosa casa di Montecarlo passata dal partito al cognato in un rocambolesco intreccio che gli è in fondo costata anche la carriera politica.

         Ma oltre che in Parlamento, fra i banchi della presidenza della Camera, del governo e i seggi dell’emiciclo, la Meloni potrà dire il 15 gennaio di avere trascorso 18 anni anche dove pochi forse la immaginano: in un ordine professionale come quello dei giornalisti, approdatavi l’11 febbraio 2006. Ma come giornalista, e quindi anche collega, mi si consenta di considerarla strana dopo l’idiosincrasia per i giornali confessata nel libro di Bruno Vespa così copiosamente anticipato in questi giorni. In particolare, la premier si è lasciata scappare che non legge i giornali per non esserne influenzata.

E’ come “l’elettore che si vanta di non votare”, ha commentato sulla Stampa il mio amico Mattia Feltri iscrivendola d’ufficio ad un partito ancora più grande di quello dei fratelli d’Italia che lei ha portato a circa il 30 per cento dei voti. E’ naturalmente il partito dell’astensionismo. E questo “ci dice come siamo messi”, ha scritto sempre Mattia, dopo avere inutilmente cercato di consolarsi con un lungo elenco di uomini e donne abbandonatisi a rifiuti più o meno contingenti di giornali che sono però ad essi sopravvissuti, per quanto malmessi.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 12 novembre

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