Buone notizie alla Meloni dalla Germania in recessione economica e politica

         Dalla Germania in recessione, e un po’ anche in depressione psicologica con quell’atterraggio di fortuna della ministra degli Esteri Annalisa Baerbock, costretta a rinunciare ad una sua missione indo-oceanica per l’aereo troppo vecchio e in avaria su cui si era imbarcata, giungono buone notizie per Gorgia Meloni. Che trova, in particolare, nelle aperture pur locali della Cdu, componente importante del Partito Popolare Europeo, all’estrema destra di Alternativa una conferma alla sua decisione, in Italia, di opporsi ai veti del segretario forzista Antonio Tajani alla destra francese di Marine Le Pen, alleata nell’Europarlamento con Matteo Salvini e i tedeschi appunto dell’Afd, per la realizzazione di una nuova maggioranza nell’Unione. “la Germania in crisi apre all’ultradestra”, ha titolato La Stampa andando anche oltre la Cdu.

         “Io non ritengo di avere questa autorevolezza”, aveva risposto qualche giorno fa la premier italiana nel passaggio di una sua intervista sul veto, appunto, del vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, oltre che segretario di Forza Italia, alla destra francese e similari nella costruzione di nuovi equilibri politici nel Parlamento di Strasburgo che sarà eletto l’anno prossimo.

         Non avrà questa “autorevolezza”, magari anche agli occhi di “Antonio”, come lei chiama amichevolmente il suo alleato, ma la premier continua a muoversi a livello internazionale senza complessi. A cominciare da quello della “sfavorita” messosi alle spalle nel discorso di presentazione alle Camere, l’anno scorso, per la fiducia. Anche nella sua breve vacanza nella vacanza, nell’Albania raggiunta dalla Puglia con la famiglia su un traghetto di linea, la presidente del Consiglio ha sorpreso e spiazzato avversari e amici col “giallo della cena con Rama e Tony Bair” su cui ha titolato il suo retroscena La Repubblica.

         D’accordo, l’ex premier inglese dopo la cosiddetta Brexit, l’uscita cioè della Gran Bretagna dall’Unione, potrebbe pur essere  considerato  estraneo alle vicende comunitarie attuali e future. Ma Tony Blair fa parte di un certo estabilishment internazionale al pari del centenario Henry Kissinger, che la Meloni ha incontrato recentemente nell’ambasciata italiana degli Stati Uniti, dopo il vertice alla Casa Bianca col presidente Joe Biden. Una notizia, quella dell’incontro con l’ex segretario di Stato americano, peraltro reduce da un viaggio in Cina, che ha assunto un suo significato sia per l’invito rivolto dalla premier all’ospite sia per la risposta  ricevuta e le due ore della chiacchierata che ne è seguita.

A quel livello non si perde tempo, come può essere accaduto a chi ha intervistato in Italia l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno per raccoglierne il progetto alquanto avveniristico di un movimento populista di tipo grillino contro la ex collega di partito decisa a coniugare la destra con il conservatorismo liberale, e non col fascismo defunto ma evocato da coloro ai quali fa comodo avvertirlo sempre dietro l’angolo, come un fantasma.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

La risposta di Alemanno al “tradimento” meloniano della destra

Non so con quanta sincerità, e non invece con quanta malizia, l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno ha voluto tranquillizzare anche pubblicamente la sua amica ed ex compagna di area -o camerata, direbbero a sinistra secondo l’abitudine appena contestata da Luca Ricolfi di vedere nero dappertutto- che non nascerà mai, almeno di sua iniziativa, un partito più a destra di quello che lei ha saputo realizzare su posizioni dichiaratamente, direi orgogliosamente conservatrici.  

         “Se faremo qualcosa -ha detto Alemanno a Libero del 15 agosto parlando ambiziosamente al plurale, non sarà la destra della destra, ma un movimento aperto a tutti coloro che si aspettano un vero cambiamento, quindi anche chi viene da sinistra, dal Movimento Cinquestelle e chi vorrà”, magari pure dalla Lega. Dalla quale si sospetta peraltro che sotto sotto l’ex sindaco di Roma venga corteggiato da tempo, persino con l’offerta di una candidatura nelle liste del Carroccio, come indipendente o in forma federativa con un suo movimento, nelle elezioni europee dell’anno prossimo. Poi nel nuovo Parlamento di Strasburgo non dovrebbe creare certo problemi ad Alemanno la confluenza in un unico gruppo con la destra francese di Marine Le Pen. Che è quella contro la quale dall’Italia il segretario forzista Antonio Tajani, mostrando di parlare anche a nome e per conto del ben più vasto Partito Popolare Europeo, ha messo un veto che Giorgia Meloni ha contestato nella stessa intervista nella quale ha rivendicato il merito di avere deciso da sola, nel governo, di tassare gli extraprofitti bancari derivati dall’aumento dei tassi d’interesse.

         E’ nata da questa rivendicazione- contestata a sua volta esplicitamente da Tajani annunciando che il provvedimento urgente dovrà subire nel percorso parlamentare altre modifiche ancora rispetto a quelle già apportate nel tragitto da Palazzo Chigi al Quirinale per guadagnarsi la firma del presidente della Repubblica- la “svolta decisionista” attribuita alla premier. Attribuitale -aggiungo- con particolare vigore o scetticismo, come preferite, sulla Stampa dall’ex direttrice del missino Secolo d’Italia Flavia Perina. Che ha evocato la fine non proprio incoraggiante di altri “decisionisti” comparsi sulla scena repubblicana italiana, compreso o a cominciare da Bettino Craxi, prima impiccato come il cadavere di Mussolini nelle vignette dei giornali, e poi costretto all’esilio -o alla fuga, secondo gli avversari- per scampare al carcere a causa del finanziamento illegale del partito socialista e degli altri reati contestatigli dalla magistratura come appesi allo stesso ramo. Dall’Albania, raggiunta in traghetto dalla Puglia per una vacanza nella vacanza, la Meloni si sarà in qualche modo protetta con gli scongiuri adatti ad una donna, per quanto abituata sotto tutti i sensi a indossare pantaloni.

         Per tornare ad Alemanno e alla sua promessa di non fare un partito alla destra della destra, ma un movimento in sostanza concorrente con quello di Beppe Grillo e di Giuseppe Conte sul fronte del populismo interno e internazionale, pacifista e per niente “guerrafondaio”, come ha definito il ruolo assunto dalla Meloni sulla guerra in Ucraina, che pure è stata aperta da Putin e non da Zelenscky; per tornare, dicevo ad Alemanno del suo progetto si potrebbe ripetere col compianto generale Charles De Gaulle che è un “vasto programma”. Troppo vasto anche per la fantasia di noi italiani, capaci di fare in un partito di tre iscritti quattro correnti.

         L’intervistatrice Brunella Bolloli ha interrotto ad un certo punto i ragionamenti di Alemanno dicendogli che le sembrava di “sentir parlare Travaglio, Santoro e Marco Rizzo”. E lui, per niente imbarazzato, con la disinvoltura non di un ingegnere com’è lodevolmente riuscito a diventare quand’era ministro dell’Agricoltura sorprendendo a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi, ma di un acrobata o un prestigiatore ha risposto: “Infatti con Travaglio abbiamo fatto un convegno insieme”. Figuriamoci se il direttore del Fatto Quotidiano poteva trattenersi, vista la disinvoltura con la quale usa tutti i mezzi, fisici e materiali, a disposizione per colpire l’avversario di turno seduto a Palazzo Chigi dopo il passaggio quasi cavuriano – da Carlo Benso conte di Cavour- del mai sufficientemente rimpianto Giuseppe Conte.

         “Quando ci sono grandi temi che riguardano l’interesse nazionale- ha detto Alemanno- non devono esserci steccati, sono trasversali…Sulla guerra poi, vediamo da una parte il Pd a braccetto con la Meloni e dall’altra io e Conte che la pensiamo allo stesso modo”.  Ce n’è abbastanza, credo, per impensierire più Conte che la Meloni, almeno nel prosieguo delle loro vacanze. Poi, in un autunno che vedremo se sarà più caldo o bollente, fra le iniziative parlamentari e di piazza, e col povero Renato Brunetta già appeso figurativamente a qualche cappio per avere accettato la richiesta della premier di occuparsi del cosiddetto reddito minimo col suo Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, verifecheremo da quali altre tentazioni si lascerà prendere il primo e unico sindaco approdato da destra in Campidoglio. Dove non era riuscito a salire neppure Gianfranco Fini appena sdoganato da Silvio Berlusconi in un emporio autostradale.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 19 agosto

                                        

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