
A furia di escogitare piani attribuitigli da retroscenisti di ogni colore per contrastare o quanto meno contenere i numeri elettorali di una Giorgia Meloni alla quale è appena arrivato il riconoscimento di una “visibilmente e inattesamente bravura” da parte del pur parco ed esigente senatore a vita Mario Monti, il leader leghista Matteo Salvini si è data una zappa sui piedi. Ed ha un po’ picconato, diciamo così, il progetto che più gli sta a cuore, su cui ha scommesso di più, forse più ancora delle “autonomie differenziate” coltivate dal suo collega di governo e di partito Roberto Calderoli: il ponte sullo stretto di Messina.

Nel pentolone dell’ultima riunione del Consiglio dei Ministri prima delle ferie anche del governo, per quanto più contenute per durata e intensità di quelle delle Camere, Salvini è riuscito a infilare -forse per una svista del sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano- una deroga al tetto di 250 mila euro degli stipendi pubblici per i manager che dovranno occuparsi della costruzione del ponte, appunto. Che così, già controverso di suo, a torto o a ragione, in ordine alla sua priorità rispetto ad altri interventi, rischia l’impopolarità proprio per questa storia degli stipendi in un Paese che purtroppo vive di salari generalmente fra i più bassi d’Europa, specie in settori vitali come quello dell’istruzione.

Ora le opposizioni hanno un altro argomento a disposizione per contestare un ponte la cui mancanza pur sembra incongrua in un mondo dove si costruiscono -e peraltro crollano meno che da noi- ponti di ogni portata e avvenirismo. Stefano Rolli, uno di quei vignettisti che sanno precedere gli editorialisti, e superarli nella capacità di fare opinione, ha opposto alla notizia degli stipendi destinati nei propositi di Salvini ai manager che si occuperanno della realizzazione dell’opera di collegamento fra la Calabria e la Sicilia: “Poi dicono che le retribuzioni sono ferme”. E ciò su un giornale come Il Secolo XIX di Genova, cioè di una città che di ponti ne ha visti costruire e crollare.
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