Avviso di Nordio ai naviganti sulla rotta della riforma della giustizia

Intervistato da Libero, il guardasigilli Carlo Nordio ha voluto mandare un avviso ai naviganti, diciamo così. Specie a quelli che si aspettano dalla premier Giorgia Meloni al ritorno dalle sue missioni all’estero, di sua iniziativa o su richiesta o pressione del presidente della Repubblica, un gesto o parole distensive dopo lo scontro con la magistratura da lei stessa accusata, sia pure in alcune “frange”, di fare opposizione politica prendendo di mira esponenti di governo e del suo stesso partito. “L’assedio ora finisce al Quirinale” titola con qualche speranza in prima pagina il pur garantista Foglio giocando fra presunti “auspici” del capo dello Stato, e presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, e la giacenza ancora “sul tavolo di Mattarella” di quella prima parte della riforma Nordio varata recentemente dal Consiglio dei Ministri.  E “depotenziata dallo scontro con toghe e Anm”, acronimo dell’associazione nazionale dei magistrati.

         Nordio – che avrà pure i suoi rapporti col Quirinale, dove non si mosse obiezione alcuna quando, da presidente del Consiglio incaricata, Giorgia Meloni ne propose o ottenne la nomina a ministro per la realizzazione della riforma della giustizia contenuta nel programma elettorale del centrodestra uscito vincente dalle urne- ha profittato dell’intervista a Libero per avvertire -ripeto- che “bisogna smettere di chinarsi” alle toghe più urlanti e al loro sindacato “o la riforma non si farà mai”. Anche se essa mira soltanto a una giustizia “più equa e rapida”, non a minacciare o “punire” i magistrati, come teme il presidente della loro associazione Giuseppe Santalucia.

         D’altronde è da più di 30 anni  -torno a scriverlo- che si aspetta il riequilibrio dei rapporti “bruscamente” cambiati, secondo una celebre espressione usata al Quirinale da Giorgio Napolitano, con le indagini del 1992 sul finanziamento illegale dei partiti, se non si vuole andare ancora più indietro negli anni.  E arrivare, secondo l’analisi dell’ex presidente della Camera Luciano Violante, al tempo in cui la politica cominciò a rinunciare spontaneamente alla sua “sovranità” delegando alla magistratura, ben oltre i processi che le competevano, la lotta al terrorismo e alla mafia.

         Va bene che tutto ormai si svolge a ritmi e contenuti imprevedibili. Abbiamo appena appreso, per esempio, che si sono già incontrati, tornando forse persino a intendersi, Putin e Prigozhin, il capo dei miliziani più armati e pagati da lui denunciato di tradimento e minacciato delle più dure punizioni per la marcia tentata su Mosca. Il presidente turco Erdogan ha rimosso veti e resistenze contro l’adesione della Svezia alla Nato. E magari la segretaria del Pd Elly Schlein finirà davvero nella  “maggioranza ombra” con Giorgia Meloni immaginata da Giuliano Ferrara contro Putin per la guerra in Ucraina. Ma, ad occhio e croce, non credo che Nordio sia il tipo di uomo, e ora anche di politico, disposto a contraddirsi pur di restare al suo posto.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Le traveggole foglianti su una “maggioranza ombra” di Meloni e Schlein anti-Putin

Presi tutti a “chiacchierare” -ha recentemente protestato sul suo Foglio Giuliano Ferrara- “del pacchiano caso Santanchè”, cui si è aggiunta l’incriminazione coatta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per rivelazione di segreto d’ufficio negata dal suo ministro Carlo Nodio, ci sarebbe sfuggita la maggiore e confortevole realtà della politica italiana.

         Ci sarà pure al governo -ci ha spiegato il fondatore del Foglio– una coalizione di destra-centro e non più di centrodestra, ci sarà pure un “bipolarismo imperfetto”, di cui il secondo polo, quello d’opposizione, vive in una confusione maggiore e peggiore dell’altro, ma grazie ai problemi internazionali che ci sovrastano  con la guerra in Ucraina avremmo il vantaggio -un enorme vantaggio- di vivere all’ombra di una  forte “maggioranza contro Putin”. Che comprende “Meloni e il Pd”, anche se l’una e l’altro “non osano dirselo”, con l’aggiunta di una Forza Italia presumibilmente più credibile o tranquilla, nonostante le apparenze, dopo la morte di Silvio Berlusconi. Il quale, pur ignorato stavolta da Ferrara, sulla guerra in Ucraina e sulle responsabilità di Putin non aveva proprio le stesse idee maturate dalla Meloni man mano che scalava Palazzo Chigi già dall’opposizione.

         Ma oltre a ignorare -questa volta, ripeto- il compianto ex presidente del Consiglio, del cui primo governo egli fu il ministro per i rapporti col Parlamento, Ferrara ha generosamente concesso al “Pd di Elly Schlein” -ha scritto- una continuità praticamente illimitata rispetto al Pd di Enrico Letta.  Per il quale alla vigilia delle scorse elezioni politiche Giulianone annunciò con franchezza e vanto di avere deciso di votare, consigliando praticamente ai suoi lettori di votarlo anche loro, reduce com’era quel Pd dalla partecipazione ad un governo presieduto da Maro Draghi. Di cui è rimasta memorabile la foto col presidente francese e il cancelliere tedesco in viaggio ferroviario e solidale verso l’Ucraina invasa dai russi.

         Si, so bene, che la Schlein, salvo qualche dissidenza esplosa nei suoi gruppi parlamentari a Roma e a Strasburgo, non si è o non si è ancora pronunciata contro la prosecuzione degli aiuti militari italiani all’Ucraina, anche a costo di deludere quel Giuseppe Conte che insegue un po’ dappertutto, fra piazze, bar e convegni, sperando di ripristinare prima o poi i rapporti di alleanza con i grillini interrotti dal suo predecessore al Nazareno dopo che lo stesso Conte in persona aveva deciso di staccare la spina a Draghi. Il quale reagì preferendo col presidente della Repubblica Sergio Mattarella le elezioni anticipate a qualsiasi tentativo di pur breve sopravvivenza almeno in apparenza reclamata dai forzisti che, per ritorsione contro la sua indisponibilità, smontarono anche la presa di corrente da cui Conte aveva staccato la spina.

         Sbaglierò nel mio pessimismo della ragione, o del sospetto, opposto all’ottimismo mai come questa volta gramsciano di Giuliano Ferrara, ma il rapporto della Schlein con la fermezza antiputiniana mi sembra sostanzialmente simile a quello assunto sempre da lei di fronte al ricorso al termovalorizzatore nella Roma sommersa dai rifiuti deciso dal sindaco piddino della Capitale Roberto Gualtieri quando al Nazareno c’era ancora Enrico Letta. E a Palazzo Chigi il già ricordato Draghi, che ne aveva posto le premesse in una norma voluta e passata nonostante le proteste e le minacce di Conte, che ne fece una ragione allora addirittura superiore a quella degli aiuti militari all’Ucraina per avviarsi o procedere più speditamente sulla strada della crisi.

         E’ una decisione “ereditata”, ha detto la Schlein del termovalorizzatore a Roma quasi scusandosene con Conte. Un po’ come -ripeto- la decisione di aiutare militarmente l’Ucraina, anche a costo di prolungare una guerra dolorosa come tutte le guerre che quel popolo indomito -altro che “nazificato”, come sostiene Putin- si vanta di affrontare rischiando solo la propria vita, senza compromettere quella dei popoli e dei governi che lo aiutano.

         Una “maggioranza ombra contro Putin” come quella vantata da Ferrara sul Foglio, e contrapposta al “bipolarismo imperfetto” da esportare in Europa attorno al quale perderebbe il suo tempo la cronaca politica, a me sembra piuttosto -a causa delle nebbie arrivate o aumentate nel Pd con l’elezione della Schlein a segretaria- un’ombra di maggioranza. E’ un po’ come il dilemma che pone ormai anche in Inghilterra, dove nacque la formula o l’istituto, l’annuncio della formazione di un governo ombra. Che si rivela nei fatti solo l’ombra di un governo. E con le ombre dal fascino perverso non si va mai molto lontano.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 15 luglio

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