Quel disastro politico per il Pd chiamato semplicemente Elly Schlein

         Fabrizio Roncone racconta sul Corriere della Sera, dopo aver fatto un giro al Nazareno e sentito altrove un po’ di esponenti del Pd sulle condizioni di salute politica, diciamo così, della nuova segretaria: “Elly sa tutto. Ha visto e letto tutto. Le hanno spiegato tutto. Perciò adesso la domanda che rimbonba nel partito -cento giorni dopo la vittoria alle primarie- è: Elly Schlein ha capito? O meglio: vuole capire che così, con questa agenda movimentista e ambigua, piena di slogan e sostanziale vaghezza, non andiamo da nessuna parte?”. Non a caso, del resto, il Pd ha appena perduto il corposo turno di elezioni amministrative di maggio.

         Roncone riferisce inoltre delle “tremende occhiate tra stupore e delusione, i sospiri rassegnati –“Vabbé, comunque è chiaro che ora dobbiamo tenercela fino alle elezioni europee”- di tanti che invece l’hanno accompagnata fin qui”.

         E ancora, sempre Roncone sul Corriere di oggi: “La scongiurano: ascoltaci. Il grande saggio del partito, Luigi Zanda: “Si lasci aiutare”. Il potente Goffredo Bettini (sì, tranquilli: vedrete che nel Pd resta potente) ….L’autorevole Andrea Orlando, definitivo: “C’è un partito da costruire”. Gianni Cuperlo: “La segreteria di Elly non è frutto di spirito unitario” (elegante eufemismo). Struggente lettera a Repubblica di Morani/Di Salvo/Fedeli/Rotta: “Il Pd non deve diventare massimalista”.

         Conclusione, per non riportare per intero il rapporto dell’inviato del Corriere: “Nella sede del Nazareno si vede poco (non ha ancora arredato il suo ufficio, al terzo piano). A Montecitorio si vede pure meno…..i militanti dem bolognesi sono furibondi: “E’ irreperibile”. Il timore di molti è che il suo programma sia proprio solo quel nome così esotico (nemmeno più il suo trench, perché andiamo verso l’estate)”.

          La musica su e di altri giornali, anche di segno opposto, non è diversa. Marco Travaglio scrive sul FattoQuotidiano, sempre oggi, che la Schlein e, più in generale,” le opposizioni e il poco che resta di stampa libera …dovrebbero selezionare i bersagli, evitando di gridare al fascismo o alla svolta autoritaria qualunque cosa faccia il governo per evitare l’effetto “al lupo al Lupo”, essendo evidente che “se tutto è fascismo nulla è fascismo”.

         Matteo Renzi sul suo Riformista scrive che “il miglior amico di Giorgia è chi dice”, come ha appena detto anche la Schlein, ”che se cambiano le regole di controllo sulla Corte dei Conti torniamo al Ventennio. Il migliore amico di Giorgia è chi definisce il governo “illiberale” solo perché non la pensa come Magistratura Democratica. Il migliore amico di Gorgia è chi vede i saluti romani anche alle sfilate del 2 giugno, Il miglior amico di Gorgia è chi attacca la frase sul “pizzo di Stato” e subito dopo chiede la patrimoniale. Il migliore amico di Giorgia è chi sogna una sinistra talmente di sinistra da stare all’opposizione per 30 anni”. Migliore amico, in fondo, dello stesso Renzi che così dettagliatamente la difende.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il traguardo europeo che gli avversari vogliono precludere a Giorgia Meloni

Protetto dal suo stesso cognome dal rischio di essere cassato, a 87 anni pur non ancora compiuti il povero Sabino Cassese non ha potuto evitare il sarcasmo per l’abitudine che ha preso di non partecipare alla demonizzazione di Giorgia Meloni. Che tutto ormai inseguirebbe e travolgerebbe, anche fuori dalla sua fortezza di Palazzo Chigi: persino nel Quirinale del sobrio e forse troppo paziente Sergio Mattarella, che l’ha aiutata a sentirsi a casa anche sul colle più alto nel settantasettesimo compleanno della Repubblica. All’ottantatreesimo, nel 2029, le potrebbe addirittura capitare di essere lei la presidente, avendo nel frattempo superato la soglia minima dei 50 anni prescritta dalla Costituzione.

         Alle imprudenze, chiamiamole così, già commesse non vedendo necessariamente del male in tutto ciò che fa, dice e spera la prima premier italiana, per giunta di destra, anzi considerando “benedette” tutte le sorprese che la Meloni sta riservando come atlantista ed europeista, Cassese ha voluto aggiungere anche quella di non correre alla Corte dei Conti per difenderne sede e inquilini da quella specie di assalto compiuto dal governo per ritorsione contro giudizi e previsioni  critiche sul  modo in cui esso sta gestendo il piano di ripresa e di resilienza.

         A quel punto il pur emerito professore, ministro, giudice costituzionale è diventato sul Fatto Quotidiano –e dove sennò?- il “badante giuridico adottato” dalla Meloni, una macchietta logorroica meritevole di “almeno tre” dei famosi aforismi di Leo Longanesi elencati in quest’ordine: “Non capisce nulla, ma con grande autorità e competenza. Non bisogna appoggiarsi troppo ai principi perché poi si piegano. La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: ho famiglia”.

A quest’ultimo proposito, non a caso la famiglia più o meno allargata della Meloni è già caduta sotto inchieste giornalistiche che qualcuno probabilmente spera si possano tradurre prima o poi anche in inchieste giudiziarie. Stupisce anzi, con tutto ciò che stiamo vivendo da più di trent’anni a cavallo tra cronaca politica e giudiziaria, appunto, che non vi siamo già arrivati nel caso della presidente del Consiglio, della madre, della sorella, delle sorellastre, del cognato, degli amici o soci di un padre poco o per niente raccomandabile, perduto già prima, molto prima della morte fisica.

                  Ciò che gli avversari della Meloni -senza il minimo rimorso di non averla sentita arrivare, come dice Elly Schlein di se stessa dopo avere conquistato il Pd e averlo portato ai primi bagni elettorali- avvertono ora con una ossessione anche maggiore di quella mostrata nello scorso autunno, per la coincidenza fra il suo arrivo a Palazzo Chigi e il primo centenario della marcia fascista su Roma, è la possibilità che la premier riesca a conquistare dall’interno persino l’Unione Europea. E farne, con una nuova maggioranza nel Parlamento di Strasburgo che sarà eletto l’anno prossimo, quello che l’ex direttore dell’Espresso Carlo Damilano ha definito “un saloon” su Domani, il giornale che Carlo De Benedetti si è regalato per consolarsi della Repubblica perduta dai figli prima ancora di venderla.

                  Un centrodestra anche in Europa appena auspicato pure da Silvio Berlusconi, con i conservatori orgogliosamente guidati a livello continentale proprio dalla Meloni al posto dei socialisti nell’alleanza coi popolari della ex cancelliera Angela Merkel e di alcuni dei suoi illustri predecessori, da Adenauer a Kool, sarebbe “dominato dai rapporti di forza”. Come se ciò non fosse già accaduto sino ad ora, con la forza appunto ottenuta dai vari partiti nelle competizioni elettorali nelle quasi si sono misurate. Uno strano saloon, a dir poco.

                  Ciò che sgomenta di questi e analoghi ragionamenti o rappresentazioni è pure la pretesa di addebitare la colpa, la responsabilità maggiore, chiamatela come volete, di un centrodestra anche in Europa alla destra -l’odiata destra- e non anche al centro benedetto e santificato se alleato con la sinistra. E’ come se in Italia all’epoca in cui maturarono le condizioni della nascita del centro-sinistra, prima col trattino e poi senza, i liberali di Giovanni Malagodi che ne fecero le spese se la fossero presa non con i democristiani, ai quali il Pli nel 1963 riuscì a sottrarre un bel po’ di voti proprio in vista di quella svolta, ma con i socialisti di Pietro Nenni. Che avevano fatto alla luce del sole il loro gioco politico liberandosi dell’asfissiante abbraccio con i comunisti tradottosi nel fronte popolare sconfitto nel 1948. E quel gioco il Psi riuscì poi a portarlo avanti con tale coerenza e coraggio di Bettino Craxi da allargare il centrosinistra agli stessi liberali nella formula del famoso pentapartito.

Quella si chiamava ed era democrazia, della quale evidentemente si sono perdute le tracce dopo la caduta della cosiddetta prima Repubblica per scomparsa non delle ideologie, come ci siamo abituati a ripetere da pappagalli, ma semplicemente, o banalmente del buon senso di manzoniana memoria, ricordato in questi giorni di celebrazione dei 150 anni dalla morte del più genuinamente italiano dei nostri scrittori.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 10 giugno

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