Il trittico della Stampa contro Giorgia Meloni e il suo governo

Le difficoltà, chiamiamole così, di navigazione del cosiddetto terzo polo occupano più o meno le prime pagine di tutti i giornali, oltre a contribuire al miglioramento delle condizioni di salute di Silvio Berlusconi. Che il vignettista del Foglio si è divertito a descrivere sollevato dal trasferimento del pericolo di morte dal suo letto a varie centinaia di chilometri di distanza, lambendo quelli che dalla fine politica e fisica del Cavaliere pensano di potere trarre vantaggio. Tutti i giornali, dicevo, meno La Stampa, che merita per diffusione, tradizione eccetera anche il nome di giornalone, pur scadendo ogni tanto, come oggi appunto, in una informazione a dir poco partigiana, come si diceva una volta dei quotidiani di partito: anche di quelli fatti meglio e diventati, nel loro genere, scuole di formazione. Partigiana, in questo caso, contro il governo pur uscito indenne, se non rafforzato a giudizio di alcuni, dalla difficile partita delle nomine, raccontata per settimane a tinte fosche. 

Quello offerto oggi dal giornale diretto da Massimo Giannini è un trittico. La maggiore evidenza è stata accordata al sondaggio di Alessandra Ghisleri che prospetta la perdita di gradimento o fiducia  di Giorgia Meloni di un ridicolo 0,3% per cento in una sola settimana, scendendo “sotto il 40”. Non mi sembra, con la volatilità degli umori, e dei voti, cui dovremmo essere ormai abituati, un grandissimo risultato per le opposizioni. Il gradimento o la fiducia per la presidente del Consiglio continua ad essere molto più alto dei voti che si guadagna, nelle urne e nei sondaggi, il suo partito. Ma se alla Stampa hanno bisogno di tenersi su il morale, come si dice comunemente, tutto va bene: anche questo “sotto il 40 per cento” personale della presidente del Consiglio. 

Meno evidente, ma pur sempre con un richiamo collocato dove di solito si mette l’editoriale, è l’annuncio di una “scivolata dell’Enel in Borsa” dopo la nomina di Scaroni a presidente e di Cattaneo ad amministratore delegato. Il mercato insomma non avrebbe gradito le scelte del governo, ma all’interno del giornale, a pagina 7, il lettore può chiarirsi meglio le idee apprendendo, pur sotto un titolo che ripete la musica della prima pagina, che “il balzo dei tassi d’interesse minaccia il colosso con 60 miliardi di debiti per sostenere gli investimenti”. Con questo balzo dei tassi d’interesse il governo naturalmente non c’entra niente, e tanto meno il nuovo vertice dell’Enel, ma evidentemente non importa.

Chiude il trittico del giornalone di Torino l’annuncio di Lucia Annunziata -nomen omen-  che “adesso la premier si gioca la faccia”, come se non se la stesse giocando dall’arrivo a Palazzo Chigi. Tutti, o quasi, hanno convenuto nel rappresentare la premier sfuggita alla tentazione dell’”imperatrice pigliatutto”, ma l’Annunziata ha preferito l’ironia del “benvenuto al centrodestra nel mondo della realtà”. Dove -ha spiegato- “le coalizioni sono fatte per litigare”.

Affollato come quello di Diana e Carlo il matrimonio di Calenda e Renzi

Ho la sensazione -non molto di più per ora- che il matrimonio politico tra Carlo Calenda e Matteo Renzi. già messo duramente  alla prova delle elezioni politiche dell’anno scorso e poi, con minore fortuna ancora, di quelle successive a livello regionale, sia diventato troppo affollato. O lo fosse, come altri dicono parlandone già al passato. Come quello lamentato a suo tempo dalla povera Diana Spencer con Carlo d’Inghilterra ancora principe ereditario. 

Nei panni di Diana, augurandogli naturalmente di non fare la stessa fine, per quanto partecipata con tanto amore dal popolo di cui avrebbe potuto diventare regina se solo avesse accettato un certo menage, si trova l’ex ministro Calenda. Che mostra di sospettare della fedeltà e quant’altro di Renzi, troppo preso da interessi, se non amori, diversi rispetto a quelli del cosiddetto terzo polo immaginato o perseguito da chi sinora se lo è intestato col consenso dell’altro socio.  

Già allarmato dalla sorpresa riservatagli da Renzi con l’annuncio della direzione, sia pure solo editoriale e non anche responsabile, del Riformista che Piero Sansonetti sta lasciando per riportare nelle edicole la sua vecchia Unità entrata nel portafoglio dell’imprenditore campano Alfredo Romeo, l’ex ministro Calenda non deve avere preso bene neppure la notizia successiva dell’accoppiamento giornalistico di Renzi con l’ex deputato forzista Andrea Ruggieri. Il quale sarà il direttore responsabile del Riformista, non credo solo per prendersi le querele, come qualcuno ha subito sospettato: per esempio, volente o nolente, Giovanna Vitale in una intervista all’interessato raccolta per Repubblica.  

“Io -ha educatamente risposto a domanda Ruggieri, che peraltro è anche avvocato- sono a favore del diritto di querelare e contro il carcere per i giornalisti. Per me il diritto di informare è sacro, ma lo ius sputttanandi è sacrilego e va perseguito. Se sbagliamo siamo pronti ad affrontare le conseguenze”. Quella di prendersi le querele non sarà tuttavia la sola funzione di un direttore che è responsabile anche della linea politica del giornale, che Ruggeri ha detto di essere ben felice di concordare con Renzi. Del quale egli ha già condiviso spesso, se non sempre, le scelte pur compiute, secondo lui, stando dalla parte sbagliata, quando era segretario del Pd. E guadagnandosi anche un’offerta di candidatura nelle ultime elezioni politiche con l’Italia viva dell’ex presidente del Consiglio, quando egli si trovò boicottato in Forza Italia da dirigenti “mediocri e invidiosi”. I quali tuttavia -ha precisato Ruggieri- non sono riusciti a fargli perdere la simpatia per Berlusconi, delle cui reti televisive non a caso egli è frequentemente ospite, dopo avervi anche lavorato: per esempio, ai tempi della “Radio Londra” di Giuliano Ferrara.  

Un’altra domanda a dir poco maliziosa rivolta a Ruggieri dalla giornalista di Repubblica è stata questa: “Prima di lanciarsi” nell’avventura di direttore responsabile del Riformista “ha chiesto consiglio a suo zio Bruno Vespa?”. E lui, sempre con molta educazione, forse anche troppa, ha così risposto: “In vita mia non gli ho mai chiesto aiuto, né lui me lo avrebbe dato. Nessun dirigente Rai ha ricevuto da mio zio mezza telefonata per me, anche se la parentela mi è stata rinfacciata. E non per favorirmi”. 

Renzi e Ruggieri, per come parlano e si atteggiano, mi sembrano insomma fatti apposta per intendersi. L’accoppiata non è per niente acrobatica. E -temo nel pensiero di Calenda- adatta pure a riproporre di Renzi l’immagine, il desiderio, la profezia del “Royal baby” coltivata da Giuliano Ferrara ai tempi in cui Silvio Berlusconi era il monarca praticamente assoluto del centrodestra, e non solo di Forza Italia.

Questa operazione del Riformista, alla quale certo non può considerarsi estraneo il direttore uscente Sansonetti, ha risvolti, aspetti, sottintesi politici di sin troppa evidenza. Essa realizza peraltro il sogno dallo stesso Sansonetti, confessato in un articolo ancora fresco di stampa, di restituire all’editoria politica, grazie ad Alfredo Romeo, la dignità e vivacità perduta con la crisi o scomparsa delle testate dei vecchi partiti protagonisti della storia della cosiddetta prima Repubblica. 

“Probabilmente -ha scritto il mio amico Piero- il vecchio castello ormai un pò ammuffito dell’informazione italiana, specie sul versante che si autodefinisce di sinistra, non era pronto a questa frustata. Non l’ha gradita. Ha messo in campo tutte le energie  che le sono rimaste per reagire”. Naturalmente alla solita maniera: per esempio, allestendo o riproponendo nel salotto televisivo di turno o di comodo- che per carità di professione non sto qui a chiamare per nome, come ha ritenuto di fare invece Piero- processi di corruzione o simili a Romeo, da cui peraltro l’interessato è uscito assolto. Si sa come le assoluzioni sono viste e rappresentate da giustizialisti d’arte e di toga: il modo di farla franca. 

Pubblicato sul Dubbio

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