Da Mister Wolf a Miss Schlein: da chi risolve problemi a chi si propone di crearne

Il mitico mister Wolf, che nel 1994 si propose al mondo in un film come l’uomo che risolveva problemi, un pò come nello stesso anno fece Silvio Berlusconi fece in Italia scendendo in campo politico, ha ormai fatto il suo tempo. Lo ha fatto prima e più ancora del Cavaliere che, indomito, è riuscito anche a trasformare  in questi giorni il reparto di terapia intensiva di un ospedale in un salotto che a nessun altro paziente nelle sue condizioni sarebbe forse permesso. 

Dall’uomo che risolve problemi siamo passati alla donna -un altro soffitto di cristallo caduto- che si offre, si propone e quant’altro di crearne. E’ la nuova segretaria del Pd Elly Schlein, ora anche capa di un governo ombra di 21 persone contrapposte ai ministri di Giorgia Meloni. E’ stata “lunga”, come da poliglotta o multinazionale l’interessata preferisce dire anziché lenta, ma alla fine ce l’ha fatta, peraltro stancandosi lo stesso a tal punto da doversi prendere un periodo di riposo  in cui hanno intinto i biscotti dell’ironia, o del sarcasmo, alcuni giornali. Un riposo che la Meloni non potrà prendersi per i problemi con i quali era alle prese già prima che si profilassero quelli minacciati dalla sua principale oppositrice. 

Diversamente da quelli di tradizione inglese, i governi ombra tentati in Italia da qualche predecessore della Schlein a sinistra si sono sempre dissolti nel nulla. Sono stati più ombre che governi. Vedremo se con l’opposizione “dura” annunciata, pur senza tanta evidenza, dal manifesto la segretaria del Pd al termine del suo riposo riuscirà nei suoi propositi bellicosi. Sono in molti ad aspettarla alla prova, in verità anche o soprattutto nel suo partito. Dove le correnti francamente non mi sembrano tanto disarmate, e neppure ridotte. Chi vivrà vedrà, come si dice nelle circostanze dubbie. 

Per quanto legittimo, tuttavia, e di lignaggio addirittura britannico, ripeto, in un Paese come l’Italia e in un momento come questo, con una guerra in corso in Europa, alla quale Putin vorrebbe che noi ci abituassimo come i russi, o gli stessi ucraini aggrediti e invasi, il proposito di “creare problemi”, come ha detto la Schlein, potrebbe rivelarsi un problema ancora maggiore. L’opposizione notoriamente non è per niente esonerata dal senso o dal dovere della responsabilità, anche se il populismo è dilagato tanto in Italia negli ultimi tempi da essere diventata una malattia cronica, come quelle da cui si sta difendendo Berlusconi in questi giorni in ospedale. Speriamo di uscirne tutti vivi, noi e lui. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Berlusconi racconta in versione Tacito dall’ospedale la sua discesa in campo

“Chiesi ai mei sondaggisti se si poteva evitare la vittoria dei comunisti. Mi dissero di sì. “Ma solo se scende in campo lei”. Lo feci”. Così Silvio Berlusconi, un pò tacitaniamente,  ha voluto ricordare dal letto dell’ospedale le origini della sua avventura politica in una  telefonata ricevuta e raccontata da Augusto Minzolini. Che è il direttore, anzi “direttorissimo”, come lo chiama con  meritata simpatia l’ex presidente del Consiglio, del Giornale ancora di famiglia ma in via di acquisto da parte degli Angelucci, editori già di Libero e del Tempo. 

Anche io penso, come lo stesso Berlusconi ha detto sempre a Minzolini, e i suoi familiari e amici ai giornalisti dopo essere andati a trovarlo, che anche questa volta “il leone” o “la roccia”, secondo le definizioni, rispettivamente, di un figlio e del fratello, ce la farà alla faccia di chi lo sta celebrando come se fosse già morto. Ma mi ha colpito lo scrupolo autobiografico col quale egli ha voluto precisare come e perché una trentina d’anni fa smise ad un certo punto di sollecitare gli altri a organizzarsi meglio per affrontare le elezioni che sI avvicinavano, e la famosa e “gioiosa macchina da guerra” allestita dall’ultimo segretario del Pci e primo del Pds Achille Occhetto. E ne allestì una sua, di macchina, destinata a sorprendere tutti e a vincere, sino a portarlo direttamente a Palazzo Chigi, senza le tappe intermedie e tradizionali dei leader succedutisi nella cosiddetta prima Repubblica: deputato, o senatore, relatore di qualche legge importante, sottosegretario, ministro, magari capogruppo, segretario del partito e infine capo del governo sullo sfondo di un Quirinale da scalare a tempo debito, e col permesso più della fortuna che della bravura, astuzia e quant’altro. 

A convincerlo furono quindi i sondaggisti, più che la sua ambizione, o la paura attribuitagli dalla buonanima di Enzo Biagi, ma anche da altri ancora in vita, di affrontare da semplice imprenditore gli scenari politici destinati a sostituire quelli dominati  ultimamente dal cosiddetto Caf: l’acronimo dell’alleanza o combinazione fra Craxi, Andreotti e Forlani. Che certamente non gli erano stati ostili sulla strada degli affari edili e editoriali. 

Di quei sondaggisti ricordo ciò che una volta mi volle raccontare tra battute ironiche, delle quali era uno specialista raffinato, e forti preoccupazioni l’allora e ultimo segretario della Dc Mino Martinazzoli, reduce da un incontro avuto con lui, credo, nella sua Brescia, facilmente raggiungibile da Arcore. “Quelli -mi disse parlando appunto dei sondaggisti- gli hanno fatto perdere la testa. Lo fanno andare in giro con una montagna di grafici e prospetti secondo i quali senza di lui saremmo tutti finiti, e magari verrebbe ripristinato anche il comunismo finito tra le macerie del muro di Berlino”. E mi pregò, -sapendo dei nostri rapporti di amicizia e di lavoro, ma sopravvalutandoli un pò troppo- di persuaderlo ad una visione “più realistica”- disse- della situazione politica, certamente non semplice, e delle prospettive da costruire “non giocando al pallottoliere”. Non ne ebbi l’occasione. O la ebbi troppo tardi, quando già il Cavaliere -o “il dottore” come ancora lo chiamavamo un pò tutti nel gruppo del Biscione- aveva già intessuto i suoi rapporti e preso le sue decisioni, confortato -avrebbe poi raccontato- anche dalla mamma originariamente perplessa, a dir poco, pure lei.

Poi ebbi l’impressione, a torto o a ragione, che i rapporti di Berlusconi con i sondaggisti avessero finito per rovesciarsi, nel senso che non fosse stato più lui a farsene condizionare ma loro ad assecondarlo. Alcuni  di essi infatti scomparvero letteralmente dalla scena e ne subentrarono altri, fra i quali eccelle per notorietà e una certa avvenenza da qualche tempo Alessandra Ghisleri. Che tuttavia è apprezzata anche da giornali non proprio teneri con Berlusconi, pure in questi giorni di ricovero in “terapia intensiva”, sottolineata immediatamente dal quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire. Che tuttavia sa bene, come Repubblica con quella rumorosa titolazione sul traffico “al capezzale” dell’ex presidente del Consiglio, come dagli ospedali si possa uscire ancora vivi, e non per forza morti o impediti.

Pubblicato sul Dubbio

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